La ricerca Unifi nei due più grandi studi sul Dna antico

Le due più grandi ricerche sul Dna antico portano anche la firma del Dipartimento di Biologia e del Dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo (SAGAS). Le indagini, pubblicate su Nature, prendono in esame la diffusione della cultura del vaso campaniforme durante la fine dell’età del Rame e gli effetti provocati dall’avvento dell’agricoltura nel Sud Est Europa in seguito alla migrazione dall’Anatolia avvenuta nel Neolitico.

Portano anche la firma di ricercatori fiorentini le due più grandi ricerche mai svolte sul Dna antico da poco pubblicate sulla rivista scientifica Nature.

“The Beaker Phenomenon and the Genomic Transformation of Northwest Europe” (doi: 10.1038/nature25738) scaturisce da un’indagine sui reperti di 400 individui a cui hanno collaborato 144 team internazionali, tra cui un gruppo del Dipartimento fiorentino di Biologia.

E il Dipartimento di Biologia – insieme al Dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo (SAGAS) – è partecipe della pubblicazione “The genomic history of Southeastern Europe”  (doi: 10.1038/nature25778), che è stata realizzata su 225 soggetti e ha coinvolto 117 gruppi di ricerca europei e statunitensi.

La prima ricerca ha preso in esame la cultura del vaso campaniforme (caratterizzata da una tipologia di vasi in ceramica a forma di campana rovesciata) e la sua diffusione in Europa, durante la fine dell’età del Rame (e in particolare nel periodo risalente a 4.500 anni fa).  A questo proposito lo studio ha validato due tesi che contavano sostenitori schierati su fronti opposti nel mondo scientifico. La presenza di questo particolare tipo di ceramiche in un’area molto vasta è dovuta, nella fascia che dalla penisola iberica arriva all’Europa centrale, a una trasmissione di idee e innovazioni provenienti da Oriente, e allo stesso tempo si spiega con un flusso migratorio nel caso della Gran Bretagna. Il contributo dei biologi fiorentini ha interessato quattro reperti umani riferibili alla cultura campaniforme da cui è stato estratto del Dna e da cui sono state ricavate delle raccolte di molecole in forma stabile (“librerie”) successivamente esaminate in altri laboratori degli Stati Uniti.

La seconda ricerca si concentra su un periodo precedente, il Neolitico, caratterizzato dall’avvento dell’agricoltura nel Sud Est europeo in seguito a una migrazione dall’Anatolia che trasformerà l’economia e l’organizzazione sociale (alla caccia e al nomadismo subentrano l’agricoltura, la pastorizia e la sedentarietà). Lo studio si è concentrato sul risultato in termini genomici prodotto da questo spostamento e ha dimostrato per diversi secoli i gruppi autoctoni di cacciatori-raccoglitori, che vivevano nel Sud Est dell’Europa, rimasero isolati da quei gruppi di agricoltori-allevatori provenienti dall’Anatolia portatori di un nuovo stile di vita e con tratti somatici differenti, per poi mescolarsi tremila anni più tardi. In altre parti d’Europa, in particolare nell’area tra Romania e Serbia, la convivenza tra cacciatori-raccoglitori e agricoltori si è tradotta invece in un’integrazione più rapida.

“I laboratori fiorentini hanno condotto le analisi del DNA nucleare e mitocondriale su una ventina di campioni provenienti dalla Polonia – spiega David Caramelli, direttore del Dipartimento di Biologia e docente di Antropologia – il lavoro ha richiesto due anni e ha permesso di ottenere delle informazioni da Dna degradato grazie a tecnologie di sequenziamento di nuova generazione. Nei prossimi mesi – prosegue il docente fiorentino – acquisiremo una strumentazione più avanzata che ci permetterà di raccogliere dati qualitativamente più accurati e in maggiore quantità con cui potremo dare un contributo ancora più significativo a questo tipo di ricerche”.

Per questo stesso tipo di studio il gruppo di archeologi fiorentini del SAGAS ha fornito un fossile del paleolitico rinvenuto durante uno scavo in Sicilia e risalente alla fine del Paleolitico superiore. “Il reperto è stato usato come termine di confronto rispetto a quelli del Neolitico su cui si è concentrata la ricerca  – hanno spiegato Fabio Martini e Domenico Lo Vetro, rispettivamente docente e ricercatore di Archeologia Preistorica – si tratta di un fossile, che offre dati preziosi sul popolamento dell’Italia meridionale circa 14mila anni fa e di cui abbiamo ricostruito il contesto culturale”.

 


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