L’Università si apre. Il dovere di rivolgersi a tutti

Nasce UnifiMagazine: il rettore Luigi Dei spiega da dove nasce questo progetto che punta a rendere "popolare" il contenuto delle ricerche.

Torre d’avorio, accademia inaccessibile, istituzione misconosciuta: per molti decenni l’Università italiana è stato un oggetto misterioso, per lo più ignorato dai mezzi di comunicazione, tutt’al più ritenuto quel luogo dove conseguire una laurea, giustamente considerata elemento di ascensione sociale. Poi la rivoluzione digitale, esaltando l’interconnessione comunicativa, mette a nudo questa solitudine e rende imprescindibile la necessità di rivelarsi e raccontarsi. Nasce la cosiddetta terza missione che, oltre al trasferimento tecnologico delle conoscenze, evidenzia il ruolo fondamentale dell’impegno pubblico degli Atenei a divulgare e rendere accessibili alla società civile gli esiti della propria attività di ricerca, di formazione, di assistenza sanitaria, laddove presente.

Raccontare la ricerca, le persone e le storie che la rendono viva e vitale, le innovazioni che scaturiscono nelle biblioteche, nei laboratori, nei reparti delle Aziende Ospedaliero-Universitarie, i rapporti sempre più fitti, sinergici e proficui col territorio, gli eventi che l’Università di Firenze organizza per adempiere a questo suo importante compito di promozione culturale, di comunicazione e divulgazione per i non addetti ai lavori, sono gli obiettivi che ci hanno ispirato nella creazione di questo Magazine.

Nel 1799 il grande scienziato Sir Benjamin Thompson fondò a Londra la Royal Institution of Great Britain per “diffondere la conoscenza e facilitare l’introduzione generale di utili invenzioni meccaniche e miglioramenti; e per insegnare, tramite corsi di letture filosofiche ed esperimenti, l’applicazione della scienza alla vita comune.” E’ lo spirito che ispira il Magazine dell’Università degli Studi di Firenze, uno strumento di comunicazione e di divulgazione scientifica dove scientifico sarà anche il rigore con cui tratteremo tutti i temi e le diverse attività che ogni giorno animano la vita della nostra istituzione.

Sempre restando al modello inglese, la divulgazione della ricerca è definita popularisation. Credo sia un obbligo etico, prima che civico, rendere “popolare” il contenuto delle nostre ricerche di frontiera. Noi professori, scienziati, intellettuali dobbiamo forse aver paura dell’aggettivo “popolare”? Assolutamente no. Un grande scrittore americano, Mark Twain, la pensava così: “Io non ho mai cercato di rendere colte le classi colte. … Ambizioni in questo senso non ne ho mai avute, ma sono sempre andato a caccia di una selvaggina più grossa: le masse”. Noi, invece, dobbiamo formare le classi colte e al contempo andare a caccia dell’altra meravigliosa ed affascinante selvaggina! Questo Magazine ha l’ambizione di riuscire nell’opera in cui lo scrittore statunitense fu insuperabile maestro.

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