Contro il melanoma, passi avanti dalla ricerca Unifi

Uno studio del Dipartimento di Scienze Biomediche, Sperimentali e Cliniche, pubblicato su EBioMedicine, ha identificato un nuovo marcatore responsabile della resistenza alla terapia farmacologica che viene adottata per la maggioranza dei melanomi in stato avanzato.

Una delle sfide più grandi nella lotta contro il melanoma – tumore maligno che prende origine dalle cellule preposte alla sintesi dei pigmenti che determinano il colore della pelle – è il trattamento dei casi avanzati che non possono essere risolti chirurgicamente. Il trattamento farmacologico cui vengono sottoposti oltre il 50 per cento dei pazienti con melanoma con metastasi, basato sull’impiego di un inibitore di un particolare enzima spesso associato ad altri farmaci, dopo un iniziale successo con remissione clinica, provoca infatti dopo circa 6-12 mesi una resistenza al farmaco nella quasi totalità dei casi.

Nuovi sviluppi sul tema vengono da una ricerca guidata da un team del Dipartimento di Scienze biomediche, sperimentali e cliniche “Mario Serio” che ha identificato un nuovo marcatore responsabile della resistenza al farmaco: uPAR, un recettore di membrana. Lo studio, finanziato dall’Associazione Italiana ricerca sul Cancro (AIRC) e dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, è stato recentemente pubblicato  sulla rivista EBioMedicine [“EGFR/uPAR interaction as druggable target to overcome vemurafenib acquired resistance in melanoma cells” https://doi.org/10.1016/j.ebiom.2018.12.024 ] e vede la partecipazione dell’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico “Giovanni Paolo II” di Bari.

“Più della metà dei pazienti con melanomi avanzati (non resecabili o metastatici) presentano una particolare mutazione genetica (BRAF) che porta alla sintesi di una proteina sempre attiva, in cui la sostituzione di un solo amminoacido è responsabile della proliferazione incontrollata della cellula cancerosa – precisa Anna Laurenzana, prima firmataria dell’articolo e componente del team coordinato da Mario Del Rosso e Gabriella Fibbi -. Tali pazienti vengono trattati con terapie mirate, cioè con inibitori specifici della proteina mutata che determinano una risposta rapida con la scomparsa delle metastasi nel giro di pochi mesi. Purtroppo tali trattamenti causano nella quasi totalità dei pazienti l’insorgenza di una resistenza acquisita al farmaco con conseguente ricomparsa del tumore in una forma ancora più aggressiva”.

Il team ha rilevato che i pazienti recidivanti esprimono, già prima del trattamento farmacologico, alti livelli del recettore uPAR, molecola coinvolta nel movimento cellulare. “Anche se il numero dei pazienti preso in considerazione è limitato – spiega Laurenzana – il nostro studio suggerisce che l’espressione di uPAR potrebbe fornire un valore predittivo verso la determinazione della risposta del paziente alle terapie basate sugli inibitori di BRAF” .

Basandosi su queste evidenze, i ricercatori hanno generato in laboratorio una linea di cellule di melanoma umano resistenti alla terapia farmacologica e, trattandola con un piccolo peptide capace di bloccare l’attività di uPAR, hanno risensibilizzato tali cellule all’azione inibitoria del farmaco, causando un arresto della crescita e della progressione tumorale.

“Siamo solo agli inizi di un percorso di ricerca – commenta la ricercatrice -, occorrerebbero finanziamenti per procedere ad uno screening su un più ampio numero di biopsie prima del trattamento al fine di somministrare la terapia combinata più opportuna”.


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