Nuove scoperte nella necropoli estrusca di San Germano

Lo scavo a cura della cattedra di Etruscologia dell'Ateneo fiorentino rivela alcuni nuovi elementi sull'insediamento del territorio di Vetulonia nel periodo tra il VI secolo a.C e il I a.C.

A partire dal 2011 con le indagini realizzate in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia della Toscana, la Cattedra di Etruscologia dell’Università di Firenze ha dato avvio ad un intenso programma di ricerche vòlto allo studio e alla valorizzazione delle necropoli orientalizzanti del territorio di Vetulonia. Già conosciuta grazie a ricognizioni e brevi interventi di scavo realizzati da Claudio Curri alla fine degli anni ‘60, la necropoli di San Germano rappresenta una delle più estese e testimonia la presenza di un insediamento posto a controllo dell’importante direttrice di traffico che attraversava la valle del Sovata, ancora oggi percorsa dalla ferrovia e dalla superstrada tirrenica.

Prima delle ricerche dell’Ateneo fiorentino, si conoscevano alcuni tumuli sommariamente pubblicati da Curri nel volume della Forma Italiae dedicato a Vetulonia e da Agostino Dani in edizioni locali. Grazie alle nuove indagini è oggi da riconsiderare la supposta omogeneità dei corredi nonché dell’architettura funeraria delle varie tombe: è infatti possibile evidenziare una serie di particolarità costruttive che differenziano i vari monumenti, scalati nel tempo e diversificati anche per la notevole varietà dei reperti mobili.

Applique a testa di satiro in bronzo da San Germano

Seppur in fase preliminare, i nuovi studi mostrano l’esistenza di una stratigrafia orizzontale della necropoli. Fondata da alcune famiglie di rango principesco durante la seconda metà del VII sec. a.C., essa venne poi ampliata per accogliere tumuli più modesti, costruiti entro la metà del VI sec. a.C. e utilizzati fino alla metà del secolo successivo.

Tale situazione può essere utilizzata come riflesso dello sviluppo dell’insediamento, posto probabilmente sotto il controllo di alcuni personaggi in stretto contatto con la ricca aristocrazia vetuloniese; nel corso del VI sec. a.C., verosimilmente a seguito di condizioni economiche vantaggiose, l’abitato si struttura con la nascita di un ceto medio che imita, nei modi e nelle forme, le famiglie di più antico lignaggio.

In varie occasioni è stata sottolineata la crisi che investe Vetulonia e il suo territorio intorno alla metà del V sec. a.C.; più che a scontri con altre città limitrofe, la repentina involuzione potrebbe essere letta in rapporto ai fatti del 453 a.C. Al di là di questa proposta, è certo che la crisi, improvvisa, colpisce anche l’insediamento di San Germano, come riflette l’interruzione delle deposizioni e l’abbandono della necropoli. Fino a questo momento non sembrano rilevabili sostanziali variazioni nel tenore dei corredi: ne è una chiara testimonianza l’arrivo di ceramica attica a figure rosse, copiosa nel tumulo 9 ma recuperata anche in altre tombe della necropoli.

Tumulo San Germano

Dopo oltre un secolo di abbandono, la necropoli viene nuovamente frequentata. Sia il tumulo 9 che il tumulo 8 hanno infatti restituito reperti di epoca ellenistica, compresi tra la fine del IV e il III sec. a.C. Durante la campagna di scavo 2017 è stata indagata un’interessante tomba a fossa posta tra il tumulo 6 e il tumulo 4. Nonostante le violazioni, la tomba, che conteneva probabilmente due inumati (forse una donna e un sub-adulto) ha restituito quattro orecchini d’oro a cornetto e alcuni frammenti di ceramica a vernice nera che fissano la datazione tra la fine del IV e i primi del III sec. a.C.

Da un’altra tomba, questa volta a tumulo ma del tutto anomala per le ridotte dimensioni e l’orientamento, altri frammenti di ceramica a vernice nera sigillavano la pietra di chiusura. All’interno erano i resti di almeno tre inumazioni, una ancora parzialmente distesa sulla stretta banchina in pietra: nonostante il recupero di una pisside lenticolare di bucchero con decorazione a stampiglie, ritrovata integra all’altezza delle ginocchia e assegnabile alla prima metà del VI sec. a.C., la tomba venne sicuramente riaperta in epoca ellenistica: i dati delle analisi effettuate sul collagene delle ossa potranno forse chiarire la successione delle deposizioni.

La ripresa della frequentazione della necropoli testimonia a San Germano una nuova fase insediativa che i dati frammentari provenienti dai corredi permettono di fissare, come a Vetulonia, tra la fine del IV e il III sec. a.C.; alcuni reperti provenienti dal tumulo 9 documentano una presenza ancora nel I sec. a.C. Ad oggi, tuttavia, non era possibile formulare alcuna ipotesi sul tipo di abitato e su una sua possibile continuità.

Grazie alle nuove scoperte effettuate nella campagna di scavo condotta nello scorso mese di Giugno, sarà forse possibile far luce su questi aspetti. Nella sella che separa l’altura di Poggio all’Olivo e quella di San Germano, a circa 200 metri in linea d’aria dalla necropoli, alcuni frammenti di laterizi emersi lungo un sentiero lasciavano supporre la presenza di edifici. Dopo un’attenta e impegnativa opera di ricognizione condotta nel fitto sottobosco di macchia mediterranea, è stata aperta un’area di scavo in corrispondenza della cresta di un filare di pietre, ancora visibile in superficie.

Scavo San Germano

Le indagini hanno riguardato un’area di circa 80 mq, suddivisa in due saggi, A e B. Nel primo, a pochi centimetri sotto il piano di campagna, è emersa parte di un’area lastricata con pietre di galestro, delimitata da spallette realizzate con lo stesso materiale. L’area, pur con i dubbi dovuti allo stato preliminare delle ricerche, potrebbe essere interpretata come un impluvium per la particolare costruzione della spalletta sud, che presenta pietre con faccia a vista solo sul lato rivolto verso l’area lastricata. Simile per allineamento è inoltre il tratto di muro emerso nel saggio B, probabilmente da riferire allo stesso complesso.

Il modesto interro delle strutture e la posizione al culmine della sella tra le due alture hanno determinato la forte erosione della stratigrafia connessa alle fasi più recenti dell’insediamento. Soprattutto verso sud, dove si osserva una maggiore pendenza, gli strati posti oltre la spalletta dell’area lastricata sono risultati assenti e, sotto uno strato di ceramica e laterizi fluitati spesso pochi centimetri è apparso direttamente lo strato geologico naturale.

Maggiori dati provengono invece dall’area più a nord del saggio A. Qui è stato individuato uno strato composto da frammenti ceramici e laterizi posto a sud di un altro tratto murario concorde per orientamento con le altre murature ma realizzato con una differente tecnica costruttiva, più accurata, che prevede l’utilizzo di pietre di maggiori dimensioni.

Scavo San Germano

Pur con i dubbi legati allo stato iniziale dell’indagine e alla scarsa conservazione delle stratigrafie più superficiali, è forse possibile distinguere due momenti. L’abbandono dell’edificio dotato di area lastricata potrebbe essere avvenuto tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C. come sembrano dimostrare alcuni frammenti di ceramica a vernice nera e sigillata italica. Di questa struttura sopravvivono pochi resti nel saggio A, mentre la parte nord del saggio B, posta ad una quota più elevata e pianeggiante e meno soggetta all’erosione del pendio, potrebbe essere più conservata.

Questo edificio venne probabilmente realizzato sfruttando i resti di una o più strutture precedenti: di queste, al momento, sono visibili solo il tratto di un muro e, nell’angolo nord-ovest del saggio A, quella che sembra essere una parte del crollo di una copertura. A questa fase potrebbe essere pertinente anche un taglio, al momento indagato solo parzialmente, posto a sud dell’area lastricata; sull’interfaccia del riempimento giaceva isolato, in posizione capovolta, il fondo di una ciotola a vernice nera, decorata con stampiglie e rotellature. Dai reperti finora recuperati questa precedente frequentazione potrebbe riferirsi ad un orizzonte non troppo avanzato del III sec. a.C.

Al momento l’unico indizio, oltre al taglio prima ricordato, è un grande mortaio in trachite emerso al limite del saggio, inserito in un taglio praticato nello strato geologico e zeppato con alcuni frammenti di laterizi che, con la sua quota, suggerisce il livello di frequentazione precedente alla fase di abbandono. In generale, la funzione di questo settore meridionale, che non conserva strati della fase più recente a causa del minimo interro, sarà chiarita solo con il proseguo delle indagini, che saranno vòlte a verificare l’eventuale presenza di altre tracce o tagli nello strato geologico naturale.

Durante il periodo ellenistico sembra dunque prefigurarsi un panorama composto da un insediamento, forse una fattoria, posta sulle alture e separata dalla via di traffico che correva lungo la valle del Sovata dai resti della più antica necropoli di epoca orientalizzante e arcaica. Oltre agli importanti risultati scientifici, le ricerche condotte dall’Ateneo fiorentino e hanno avuto un’immediata ricaduta sul territorio.

Attraverso la collaborazione della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle provincie di Siena, Arezzo e Grosseto e il sostegno cantina Rocca di Frassinello – proprietaria del terreno – i nuovi dati e i contesti, opportunamente restaurati, hanno permesso la realizzazione di un’area archeologica attrezzata e gratuita e l’allestimento di una nuova sede espositiva realizzata direttamente nella cantina disegnata da Renzo Piano.

Queste azioni, volte a restituire alla comunità le testimonianze e i tesori archeologici del territorio, hanno permesso di arricchire l’offerta culturale e turistica del comprensorio dell’Alta Maremma, come conferma l’ingresso del nuovo Centro di Documentazione Etrusco “Rocca di Frassinello” nella rete museale della provincia di Grosseto.

L’autore interviene sul tema in occasione della Notte dei Ricercatori 2018 a Firenze (venerdì 28 settembre, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, Piazzale Vittorio Gui, 1 – ore 16.30)

 

 


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