Sostegno e flessibilità per carriere alla pari

Nelle aule universitarie le studentesse ormai superano di gran lunga i colleghi maschi, ma nella carriera accademica proseguono a ranghi sempre più ridotti, via via che si sale di ruolo. Il problema è anche trovare strategie di conciliazione tra lavoro e vita familiare che tengano conto delle differenze di genere. I risultati dell'indagine promossa dal Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità dell'Ateneo fiorentino.

Le pari opportunità sono una questione di equilibrio. Non solo nelle chance di carriera per entrambi i generi, ma anche nella difficile conciliazione tra lavoro e vita privata. Telelavoro e altre formule flessibili sono alcune fra le soluzioni all’orizzonte per il pubblico impiego e la flessibilità è già una condizione essenziale per chi lavora nel mondo della ricerca dove, a sentire maggiormente la difficoltà nel gestire impegni lavorativi e privati sono le donne.

“Per capire il fenomeno e suggerire soluzioni concrete che limitino le diverse discriminazioni sia nelle carriere di docenti e ricercatori che in quelle del personale tecnico amministrativo occorre raccogliere le informazioni sui passaggi di carriera e sulle condizioni che possono creare malessere o al contrario favorire il benessere nel lavoro”. A spiegarlo è Laura Leonardi, presidente uscente del Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità (CUG), che presenta i risultati dell’ultima indagine su “Carriere, famiglia e conciliazione. Vita e lavoro nell’Ateneo di Firenze”, condotta da Alessandra Petrucci, Elena Pirani e Silvana Salvini, disponibile online.

Cominciamo a mettere a fuoco il fenomeno partendo da i numeri, in particolare quelli del mondo della ricerca.

L’archivio amministrativo del nostro Ateneo, a maggio 2016, parla di 453 dottorande e 445 dottorandi, 424 assegniste di ricerca e 358 assegnisti. La tendenza si inverte quando passiamo ai ricercatori: quelli a tempo determinato sono 79 uomini e 63 donne; a tempo indeterminato, 194 uomini e 190 donne. I professori associati sono 426 uomini e 284 donne e gli ordinari sono 331 uomini e 108 donne. Dunque anche nel nostro Ateneo, come nell’intero sistema universitario italiano, quando comincia la carriera accademica il numero delle donne cala sempre più drasticamente. Il fenomeno è più rilevante nei settori scientifici e in particolare in quelli di Ingegneria e Fisica e in alcuni ambiti della Medicina.

A rispondere alle domande sull’evoluzione della carriera accademica è stato un campione di 418 persone nel 2014 e di 514 nel 2016, che va dai dottorandi a gli ordinari.

Cumulando le due indagini abbiamo raccolto dati su un campione di quasi 1000 persone. In realtà, mentre il campione rispecchia piuttosto bene la distribuzione nella popolazione per il personale docente (ricercatori e professori) la partecipazione dei dottorandi e assegnisti è stata leggermente più bassa.

Dai dati emerge che il 56% del campione ha almeno un figlio, pertanto è evidente l’interesse sulla conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa. Inoltre, utilizzando tecniche di Event History Analysis abbiamo cercato di capire se ci sono differenze di genere nei diversi passaggi della carriera accademica nel nostro Ateneo.

Che cosa ci dice il questionario al riguardo?

Uomini e donne hanno probabilità simili di diventare ricercatori, in media dopo 5 anni dalla fine del dottorato. Apparentemente, attenendoci ai dati statistici, non sembrano esserci effetti legati alla presenza di legami o di figli. E anche nel tempo di attesa per il passaggio ad associato non emergono differenze rilevanti di genere e problemi legati alle scelte familiari. Invece, il passaggio a ordinario risulta significativamente meno probabile e più ritardato per le donne, benché anch’esso non risulti legato in prima istanza alle scelte familiari, poiché altri fattori, quali i meccanismi di selezione e i criteri di valutazione adottati, agiscono in senso segregante per le carriere femminili

Quando si parla di conciliare vita familiare e lavoro, le differenze di genere diventano invece evidenti.

Abbiamo riscontrato che oltre l’80% delle donne ha o ha avuto difficoltà a conciliare lavoro e maternità, mentre il problema è sentito solo dal 43% degli uomini. Sono le donne, nella quasi totalità dei casi, ad aver usufruito del congedo parentale – quando ne hanno titolo, non essendo possibile per il personale precario – anche se ne fanno poco uso (il 50% del campione), essendo molto penalizzante, ai fini della carriera, interrompere l’attività anche per poco tempo. Sono sempre loro a considerare più importante sia la maggiore collaborazione del partner che un maggiore aiuto della rete di relazioni informali, per migliorare la situazione di un genitore che lavora. Le donne attribuiscono maggiore importanza alla possibilità di avere asili nido e centri estivi, eventualmente offerti direttamente dall’’Università, e congedi parentali. Questi dati introducono un ulteriore fattore che condiziona la progressione nelle carriere femminili e che emerge nelle due indagini.

Di che si tratta?

Via via che il ruolo cresce, per fare carriera contano le esperienze di lungo periodo all’estero o un passaggio di carriera in altre sedi universitarie, una mobilità che per le donne è più bassa, per via delle responsabilità familiari che ancora gravano prevalentemente su di loro. Altre ricerche suggeriscono che la produttività scientifica, misurata in termini quantitativi, delle donne risulta essere minore rispetto a quella dei colleghi uomini in talune fasi della vita, probabilmente perché esse risentono delle maggiori difficoltà di disporre del tempo necessario per l’attività di produzione scientifica, in un sistema organizzativo e di aiuti alla famiglia carente e scarsamente flessibile. Una rete di sostegno sarebbe di aiuto soprattutto a loro, per alleggerire le responsabilità di cura  e aumentare il tempo e le energie da dedicare agli impegni sempre maggiori della progettazione didattica e scientifica.

Le ricerche a livello internazionale e quelle condotte dalla collega Rita Biancheri nell’Ateneo pisano dicono che, soprattutto in passato, i criteri di selezione basati sulla quantità di pubblicazioni e sull’impegno a tempo pieno nell’attività scientifica hanno penalizzato le donne, maggiormente impegnate a conciliare carriera e vita familiare, come si è visto. Ed esiste poi l’ulteriore problema di una predominanza di uomini fra i selezionatori, che hanno in mente modelli maschili di prestazione lavorativa e di contenuti cognitivi della ricerca, fatto che accentua meccanismi di segregazione verticale delle donne.

 

L’indagine 2016 riguarda anche il personale tecnico amministrativo. In questo caso, i dati sull’evoluzione della carriera non sembrano evidenziare differenze di genere in nessuno stadio della carriera ma emergono comunque differenze nella conciliazione.

Anche per il personale tecnico amministrativo la difficoltà di conciliazione è sentita principalmente dalle donne (dal 75%, contro il 45% degli uomini). E’ loro il maggiore carico domestico e familiare e sono le donne a utilizzare di più i congedi parentali.

Quando si parla degli aspetti che potrebbero migliorare la situazione del genitore lavoratore poi, le donne attribuiscono maggiore importanza al part time, a cui ricorrono con più frequenza rispetto agli uomini (il 20% delle rispondenti, tra part time verticale e orizzontale, rispetto all’8% dei colleghi). E chiedono mobilità interna e centri estivi aziendali.

In questo contesto, tra le buone pratiche che favoriscono la conciliazione è senz’altro importante il telelavoro. Dove è stato adottato – sia in ambito universitario sia in altri tipi di istituzioni pubbliche e private –  si sono verificati vantaggi per la produttività del lavoro e una maggiore tranquillità nell’affrontare i problemi di conciliazione. Tranquillità che manca, quando si tiene faticosamente in equilibrio vita privata e lavoro, senza avere abbastanza margini di autonomia e di scelta basate sulle esigenze personali.


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