Il 40% del territorio dell’Unione Europea è coperto da foreste. Per guidare l’Europa verso la neutralità climatica, dunque, è fondamentale migliorare le conoscenze sulle risorse forestali, un filone di ricerca in cui l’Ateneo fiorentino è fortemente impegnato.
Tra il 1990 e il 2022 le foreste europee hanno assorbito circa il 10% delle emissioni di carbonio legate alle attività umane, attraverso un processo noto come carbon sink (serbatoio di carbonio) e fondamentale per la riduzione della CO₂ atmosferica.
Oggi, però, evidenze scientifiche segnalano una riduzione di questo meccanismo naturale: le foreste europee stanno catturando meno anidride carbonica, un fenomeno che potrebbe compromettere gli obiettivi climatici fissati dall’UE e che richiede interventi urgenti per invertire la tendenza.
A lanciare l’allarme è un articolo pubblicato su Nature, dal titolo “Securing the forest carbon sink for the European Union’s climate ambition”, che illustra lo studio – guidato dal Joint Research Centre dell’UE – di cui è coautore Giovanni Forzieri, docente di Sviluppo sostenibile e cambiamenti climatici presso il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale. (DOI: 10.1038/s41586-025-08967-3)
L’articolo analizza il declino del serbatoio di carbonio forestale, identificandone le cause e delineando le priorità di ricerca per migliorare il monitoraggio e la modellazione delle foreste. Viene evidenziato come una gestione forestale più attenta, accompagnata da strumenti di osservazione avanzati, sia fondamentale per comprendere meglio la capacità di assorbimento del carbonio, aumentare la resilienza degli ecosistemi e orientare politiche efficaci per proteggere questa risorsa vitale.
“I dati più recenti dell’Agenzia Europea dell’Ambiente indicano che il carbon sink forestale medio tra il 2020 e il 2022 è diminuito di circa il 27% rispetto al periodo 2010-2014 – afferma Forzieri –. Le previsioni per il 2025 mostrano un quadro ancora più preoccupante, che rischia di allontanare l’UE dal traguardo di 42 milioni di tonnellate di CO₂ equivalenti di rimozioni nette aggiuntive entro il 2030, stabilito dal Regolamento 2018/841 sull’uso e il cambiamento di uso del suolo e la silvicoltura”.
“Il calo dell’assorbimento di carbonio – prosegue – è dovuto a diversi fattori: l’aumento dei prelievi di legname, la maggiore frequenza di ondate di calore e siccità dovute ai cambiamenti climatici, oltre all’intensificarsi di incendi, tempeste e infestazioni di insetti. Tutti questi elementi riducono la crescita degli alberi, ne aumentano la mortalità e mettono sotto stress le foreste europee”.
Per affrontare il problema, lo studio propone di agire su più fronti: ridurre le emissioni di gas serra, ripensare i regimi di taglio e promuovere una gestione forestale che renda i boschi più resilienti agli eventi estremi e alle nuove condizioni climatiche.
Strumenti di monitoraggio più tempestivi e dati affidabili sulla salute delle foreste e sui flussi di carbonio sono indispensabili per definire politiche efficaci e misure pratiche in grado di ripristinare il serbatoio di carbonio e rafforzare la capacità di adattamento delle foreste. Inoltre, regolamenti aggiornati, incentivi alle pratiche sostenibili e una forte integrazione tra politiche climatiche e ambientali rappresentano le leve fondamentali per invertire la rotta.
“Un altro punto critico – aggiunge il professore Unifi – riguarda le lacune nelle conoscenze scientifiche. Misurare con maggiore precisione i flussi di carbonio tra suolo, vegetazione e atmosfera è una priorità, così come lo è prevedere l’impatto degli eventi climatici estremi sul funzionamento del serbatoio. Le tecnologie di osservazione satellitare ad alta risoluzione, integrate con dati raccolti sul campo e da piattaforme aeree, possono fornire un quadro più dettagliato e aggiornato dello stato delle foreste”.
“Tuttavia – avverte – servono maggiore trasparenza e standardizzazione dei dataset già esistenti per valutarne al meglio gli impatti su biomassa, biodiversità e mortalità degli alberi. Anche la connessione tra biodiversità e resilienza è centrale: le foreste miste e più ricche di specie non solo tollerano meglio le perturbazioni, ma hanno anche un maggiore potenziale di assorbimento del carbonio”.
Secondo gli autori dell’articolo, dunque, è fondamentale anticipare le possibili conseguenze negative delle soluzioni basate sulla natura. Ad esempio, vanno analizzati i possibili rischi, per i cicli idrici locali, collegati alla piantumazione di alberi su aree che in origine erano praterie, campi o zone aride, trasformandole così in aree forestali. Vanno inoltre integrati i modelli di crescita forestale con quelli socio-economici per comprendere come i prodotti derivati dalla raccolta influiscano sul bilancio del carbonio.
“Le foreste d’Europa possono ancora costituire un pilastro della neutralità climatica – conclude Forzieri – ma il tempo per agire si sta riducendo. Dobbiamo farlo adesso”.