Le forme del comico nella letteratura italiana hanno radici profonde a Firenze

E' ospitato per la prima volta dall'Università di Firenze il Congresso dell’Associazione degli Italianisti (ADI), il più importante appuntamento degli studiosi di letteratura italiana. L’argomento trattato, «le forme del comico», è un tema che a Firenze può considerarsi di casa, anche grazie ad un maestro del Novecento, Aldo Palazzeschi.
Aldo Palazzeschi - Archivio Centro studi Palazzeschi, Università di Firenze
Aldo Palazzeschi - Archivio Centro studi Palazzeschi, Università di Firenze

Si svolge a Firenze, dal 6 al 9 settembre 2017, il XXI Congresso dell’Associazione degli Italianisti (ADI), il più importante appuntamento degli studiosi di letteratura italiana, provenienti da Atenei nazionali e internazionali. L’argomento trattato, nei quattro giorni, negli incontri plenari e nelle numerosissime sessioni parallele, riguarda «le forme del comico», un tema di solido spessore culturale che a Firenze può considerarsi di casa, perché nella tradizione toscana e fiorentina ha radici profonde.

Si sa che in Italia, nel corso dei secoli, il grande Petrarca è stato il modello sempre vincente, con il risultato che la nostra è una letteratura nobilmente alta, aristocratica, lirica, seria, egocentrica. E anche tragica. Da Petrarca a Bembo a Tasso, da Alfieri a Foscolo, da Carducci a Zanzotto, il sonetto (tipico metro petrarchesco) continua indisturbato a troneggiare. Esiste, però, anche un’altra linea vigorosa, che muove da Dante, esulta con Boccaccio e Sacchetti, poi procede, a parte i grandi dialettali, con Burchiello e Pulci, Machiavelli poeta e commediografo, Berni, Redi, Goldoni, Manzoni, Giusti, Collodi. È una linea minoritaria, ma ugualmente straordinaria, che affonda le radici non solo a Firenze, ma a Firenze in modo particolare. È la linea della letteratura comico-realistica, non lirica, non egocentrica, non dominata dall’esclusivo primato soggettivo dell’«io» (il «pronome collo ritto», come dice Gadda), aperta a un pubblico più umile.

Non è un caso se presso il nostro Ateneo esiste il Centro di Studi «Aldo Palazzeschi», una struttura di ricerca che s’intitola allo scrittore fiorentino che può considerarsi un campione della linea comico-realistica, uno dei maestri del comico novecentesco.

Aldo Palazzeschi - Riproduzione riservata - Archivio Centro studi Palazzeschi, Università di Firenze
Aldo Palazzeschi – Riproduzione riservata – Archivio Centro studi Palazzeschi, Università di Firenze

L’«incendiario», il «lasciatemi divertire!», il «saltimbanco dell’anima», il «controdolore», il «buffo», parole-chiave del lessico palazzeschiano, sono metafore efficaci d’una strategia di scrittura che trova la propria forza nel mordente dell’ironia e del sarcasmo, dell’invenzione paradossale, del rovesciamento parodistico e caricaturale. Una raccolta di aforismi palazzeschiani s’intitola, con estro toscano e fiorentino, Lazzi, frizzi, schizzi, girigogoli e ghiribizzi  (1958). «Gli uomini che prendono sul serio gli altri mi fanno compassione, quelli che prendono sul serio sé stessi mi fanno sganasciare dalle risa». C’è in tutto questo una forte componente ludica e teatrale, all’insegna della libertà e della leggerezza. Ma non è un gioco. Palazzeschi non è un intellettuale amante delle astrazioni. È uno scrittore che incide su una materia terrestre, storica e autobiografica, su una materia dolorosa, alla quale ha voluto  reagire con la forza del comico come terapia di resistenza di fronte al male di vivere.

In ballo, in tutta la sua opera, è sempre la poetica del «controdolore», che esprime la volontà di non arrendersi alla sofferenza, al lato negativo dell’esistere. Il «controdolore» (titolo del manifesto edito nel 1914 sulla fiorentina «Lacerba») è la molla dell’intero orizzonte artistico di Palazzeschi, l’autore che ha saputo trasformare (sono parole sue) la «disperazione» in «allegria». A lui il «miracolo» è riuscito, e ne custodisce il segreto. Con questi versi di Congedo si chiude l’ultimo libro del poeta, Via delle cento stelle, anno 1972, quando Aldo ha 87 anni: « E ora vi dico addio / perché la mia carriera / è finita: / evviva! / Muoiono i poeti / ma non muore la poesia / perché la poesia / è infinita / come la vita».

Non inganni la semplicità del dettato, che distingue la voce cristallina del poeta (ricordiamo tutti alcuni testi di successo scolastico come Rio Bo o La fontana malata) e il familiare stile orale del narratore (Montale ha parlato di «antigrammatica del pensiero in atto»). Questa chiarezza è una conquista difficile e, insieme, garanzia d’una splendida leggibilità, che rende la pagina adatta alla recitazione, all’esecuzione orale, mimica e gestuale. Restano memorabili le interpretazioni dell’indimenticabile Paolo Poli. Attraverso la recitazione la pagina riesce meglio a restituirci l’iridescenza dei suoi umori e meglio comunica la sua energia, il suo incanto dinanzi al prodigio della vita.

Nel quattro giorni del Congresso l’intera tradizione del versante comico della nostra letteratura  sarà oggetto di studio e di riflessione, da Dante a oggi.

 

 

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