Un cavallino di legno fatto scorrazzare su e giù davanti a casa in una polverosa strada di Antinoe da un bambino divertito; la lista dei gioielli e della batteria da cucina ricevuti in dote da una fresca sposina di un popoloso villaggio dell’Arsinoite, quasi un’oasi nel deserto occidentale egiziano; lo scollo di una bella tunica indossata per una festa speciale; e, infine, la lettera che, insieme a prodotti alimentari e vesti, Syros spedisce alle sorelle per chieder loro di recuperare della merce pagata ma mai ricevuta …
Sono questi alcuni degli esempi scelti per illustrare un percorso espositivo molto particolare che si può ammirare nell’Oratorio di Santa Caterina delle Ruote a Ponte a Ema – Bagno a Ripoli (via del Carota), già di per sé splendido per gli affreschi di Spinello Aretino e di altri pittori del Trecento toscano, che raccontano la vita della giovane Santa.
Nata ad Alessandria, vissuta fra il 287 e i primissimi anni del IV secolo, Caterina finì la sua vita per volere dell’imperatore romano, dopo aver sopportato innumerevoli punizioni e torture, prima fra tutte quella della ruota che è rimasta la sua identificazione iconografica particolare; il suo corpo, posto fra due ruote che giravano in senso inverso, doveva essere lacerato dai denti acuminatissimi di cui erano dotate.
Egiziana, dunque, e coeva di molte delle testimonianze scritte in lingua greca che i papiri continuano a restituirci dalle sabbie egiziane da ormai più di cent’anni. Sono testimonianze che ci parlano di quegli anni concitati, di evidente scontro fra il potere imperiale romano e il Cristianesimo nascente, ma anche della cultura e delle vicende quotidiane ed umanissime di uomini e donne che altrimenti la Storia avrebbe condannato all’oblio.
Di fronte a tutte le testimonianze papiracee e archeologiche, appare netta la discrepanza con i risultati ottenuti da Spinello Aretino: la sua Santa Caterina è una bellissima fanciulla toscana della seconda metà del Trecento che si muove in ambienti e luoghi a noi noti – il monte Sinai ci appare molto più toscano che africano! – ma assai lontani dai panorami desertici d’Egitto.
È proprio da questa osservazione che è nata la prima idea di questa esposizione, resa possibile grazie alla sinergia fra il Comune di Bagno a Ripoli e l’Istituto Papirologico «Girolamo Vitelli», prestigiosa istituzione dell’Università di Firenze, che si occupa di recuperare, conservare, e studiare il materiale papiraceo proveniente dall’Egitto, specificamente di epoca greco-romana.
Il percorso, suddiviso in quattro sezioni, ci permette di avere una visione ‘realistica’ e ‘tangibile’ della possibile vita della Santa: nella prima sezione scopriremo come e quali potevano essere i libri su cui formò la sua cultura, prima scolastica, poi più specialistica e quasi universitaria; da dove proveniva la ricchezza della sua famiglia; quali erano gli abiti che indossava, gli oggetti della sua toelette, o delle sue mansioni femminili, e perfino quali alimenti era solita consumare, e quali potevano essere i suoi divertimenti nel tempo libero.
Nella seconda sezione ci avvicineremo al momento clou della sua vita, quello che dà l’avvio a tutta la sua vicenda: l’incontro con l’imperatore che impone a lei e a tutti i cittadini dell’impero di fare sacrifici agli idoli pagani; e nella terza il Martirio con le ruote, che sono diventate il suo simbolo iconografico più diffuso.
Infine la quarta sezione, intitolata Pagani Vs. Cristiani, che evidenzia l’incontro e lo scontro fra i due modi assai diversi, eppure complementari, di intendere l’umano e il divino.
Il materiale esposto, frammenti papiracei e reperti archeologici, è tutto di proprietà dell’Istituto Papirologico, con tre sole eccezioni: due frammenti appartengono alla Biblioteca Medicea Laurenziana, e uno proviene dalla Biblioteca Apostolica Vaticana, che eccezionalmente lo ha concesso in prestito.
Certamente tutti questi reperti non possono essere veramente appartenuti a Santa Caterina: la Santa è una di quelle figure di cui la Chiesa stessa dubita l’esistenza, e, anche accettando l’ipotesi della sua reale esistenza, se davvero era figlia di un re, avrà avuto ben altra suppellettile e abiti ben più preziosi. Quel che emerge, però, è certamente sufficiente a ricreare l’ambiente sociale e il contesto culturale nel quale mille ‘Caterine’ avranno vissuto, e il percorso espositivo ci offre la possibilità di dare forma, quasi tridimensionale, alla parola scritta, e, viceversa, di dare un nome alle figure evocate dalle immagini.
Della mostra è disponibile il catalogo, “Santa Caterina d’Egitto. L’Egitto di Santa Caterina” (Firenze, Polistampa Edizioni, 2017).