L’emigrazione è un male endemico dell’Albania. Ne fanno le spese in primo luogo le aree rurali che registrano lo spopolamento dei villaggi, l’invecchiamento della popolazione residente, l’allentamento delle reti sociali e l’abbandono del territorio. Il Paese delle Aquile, che ha addirittura un Ministero per la Diaspora, cerca da anni di creare un ponte con gli albanesi emigrati, offrendo loro delle opportunità per contribuire allo sviluppo della terra di origine, trasferendovi, per un periodo più o meno lungo, parte delle conoscenze e competenze acquisite.
In questo contesto si colloca una ricerca realizzata dal Dipartimento di Architettura e dal Florence Accessibility Lab, unità di ricerca interdipartimentale dell’Ateneo che studia l’accessibilità al patrimonio culturale come risorsa per lo sviluppo umano.
Svoltasi dal maggio 2019 al luglio 2020, la ricerca “The Diaspora as a Resource for the Knowledge, Preservation and Enhancement of the Lesser Known Cultural Sites in Albania” si è posta l’obiettivo di formulare un modello di intervento per lo sviluppo turistico sostenibile di cinque villaggi albanesi, partendo dal patrimonio culturale.
Ne parliamo con il responsabile scientifico della ricerca, Antonio Laurìa, docente di Tecnologia dell’Architettura e coordinatore del Florence Accessibility Lab, che ha guidato il team insieme a Leonardo Chiesi, Pietro Matracchi e Ugo Tonietti.
Come è nato il progetto di ricerca?
Nell’autunno del 2018 vincemmo un bando dell’International Organization for Migration (IOM), l’Agenzia delle Nazioni Unite per le migrazioni. Il progetto, finanziato dall’Agenzia Italiana di Cooperazione allo Sviluppo di Tirana si è svolto nell’ambito del programma del governo albanese “Engage the Albanian Diaspora to the Social and Economic Development of Albania”, che coinvolge ben tre ministeri, e in stretto rapporto con l’Ambasciata italiana a Tirana. Ma la particolarità della ricerca è un’altra.
Quale?
E’ stata una esperienza di formazione alla ricerca per coloro che vi hanno preso parte: studenti, giovani professionisti e ricercatori della diaspora albanese che si sono formati nella nostra Università e che, grazie alla guida dei docenti, hanno trasferito verso il loro Paese le competenze acquisite in Italia nel settore della conoscenza, salvaguardia e valorizzazione del patrimonio culturale. Hanno lavorato insieme a studenti di Architettura dell’Università Cattolica “Nostra Signora del Buon Consiglio” di Tirana e a giovani ricercatori italiani.
Come si è sviluppato il progetto?
Una parte della ricerca si è svolta in Albania, presso i villaggi eletti casi di studio: la presenza di persone di madre lingua è stata fondamentale per intervistare gli abitanti, ricostruire le tradizioni, riscoprire ricchezze culturali. Alcuni dei partecipanti avevano avuto un rapporto difficile con il Paese d’origine: questa esperienza è stata anche un’occasione per fare pace con la propria storia, con le proprie vicende personali. Un risultato sorprendente, che mi ha colpito molto.
L’idea forte del vostro progetto è utilizzare la cultura come vettore di uno sviluppo sostenibile…
Sì, cultura materiale e immateriale. Da una parte un paesaggio bellissimo, l’edilizia minuta e i monumenti che dialogano con la natura; dall’altra, le tradizioni artigianali e alimentari, uno stile di vita semplice ed autentico basato sul concetto di ospitalità verso lo straniero. Per i cinque villaggi che abbiamo studiato – Bënjë, Kosinë e Lëuse, nel comune di Përmet; Zvërnec, un villaggio costiero nel Comune di Valona; Razëm, un villaggio montano ai piedi delle Alpi Albanesi – abbiamo elaborato delle linee guida e dei progetti per avviare forme di turismo sostenibile con il coinvolgimento delle comunità locali, che devono acquisire consapevolezza del proprio patrimonio culturale.
I contenuti della ricerca sono confluiti nel libro della Firenze University Press “Five Albanian Villages. Guidelines for a sustainable tourism development through the enhancement of the cultural heritage”. L’ho scritto insieme a Kamela Guza e Valbona Flora, ricercatrici di talento e membri della diaspora albanese in Italia, ma è il risultato di un grande lavoro collettivo.
La ricerca ha avuto un bel riscontro anche in Albania.
Sì. Il progetto prevedeva diverse fasi e occasioni di disseminazione. Ricordo qui solo il seminario svoltosi a Përmet nella primavera dell’anno scorso, finalizzato al rilievo di tre beni culturali mediante laser scanner e fotogrammetria. I lavori realizzati dagli studenti sono stati presentati a Tirana nel dicembre scorso nell’ambito della mostra “Through the Eyes of Diaspora”, a cui hanno partecipato il Presidente della Repubblica Ilir Meta, il primo ministro Edi Rama, il ministro per la diaspora Pandelj Maiko e altre autorità.
