C’è una caratteristica che accomuna il cervello di Homo sapiens e Homo neanderthalensis: entrambi hanno mantenuto un alto livello di integrazione tra le aree cerebrali sia nella fase giovanile che nella fase matura. Lo dimostra uno studio internazionale pubblicato sulla rivista “Nature Ecology & Evolution”, coordinato dall’Università di Napoli Federico II, a cui ha partecipato Alessandro Mondanaro, ricercatore Unifi del Dipartimento di Scienze della Terra [“Homo sapiens and Neanderthals share high cerebral cortex integration into adulthood” DOI: https://doi.org/10.1038/s41559-022-01933-6 ].
Per studiare l’evoluzione del cervello, il team di ricercatori di università italiane (fra cui Pisa) e internazionali ha ricostruito la superficie interna del cranio (endocast) tramite tecniche di antropologia virtuale. In questo modo gli autori hanno analizzato la forma del cervello in 148 specie di primati viventi e diverse specie di Hominina (Homo neanderthalensis compreso). Oltre alla forma del cervello i ricercatori hanno studiato le interazioni tra le aree cerebrali (integrazione morfologica), utilizzando un nuovo metodo sviluppato a questo scopo e applicato per la prima volta in questo studio. “Sono co-autore di una serie di algoritmi applicabili allo studio della morfologia del cranio in 3D che tiene conto anche della filogenesi, cioè della ricostruzione delle tappe che caratterizzano l’evoluzione – spiega Mondanaro -. Usando tali algoritmi nel lavoro recentemente pubblicato abbiamo stimato digitalmente la forma di ben 400 endocast di primati viventi e fossili di specie appartenenti alla evoluzione umana, giungendo a capire due cose inattese sull’evoluzione del cervello umano”.
“La ricerca – continua Mondanaro – rivela, infatti, una forte integrazione morfologica tra le aree del cervello del genere Homo, che possiamo attribuire ad una grande comunicazione fra le parti cerebrali nello svolgimento delle loro funzioni: il che significa che le varie aree si evolvono all’unisono e realizzano azioni integrate. La seconda grande scoperta – prosegue il ricercatore – riguarda il modo in cui questa integrazione si sviluppa durante la crescita. Sappiamo da tempo che il cervello nelle scimmie antropomorfe, nella fase giovanile, assorbe molto facilmente nuove informazioni e crea nuove connessioni, infatti il livello di integrazione fra le aree della corteccia cerebrale è particolarmente alto. Tuttavia, arrivati all’età adulta i cervelli delle antropomorfe perdono significativamente in integrazione e acquistano in modularità: diverse parti della corteccia cerebrale si dedicano a funzioni diverse, comportandosi perciò come moduli distinti. Ebbene – conclude Mondanaro – nel cervello umano adulto, e per quanto ci è dato di capire anche in quello dei Neanderthal, il cervello mantiene un’alta coordinazione fra le aree e rimane, morfologicamente parlando, in uno stadio giovanile, per così dire «immaturo». Un’ «immaturità» che sta alla base della straordinaria creatività ed innovatività che caratterizza la cultura materiale dei Sapiens e dei Neanderthal, uniche fra tutte le specie ad aver creato l’arte, la musica e a possedere un vero culto dei morti”.