Un solo grande Oceano, da conoscere e proteggere

Unesco invita al cambio di paradigma, perché tutti i mari sono interconnessi. Insieme a Nicola Casagli facciamo il punto sugli ambiti principali della ricerca, con un occhio di riguardo al Mediterraneo
Archivio fotografico 123rf.com - Riproduzione riservata

Esiste un solo grande Oceano. A dirlo è l’UNESCO, che con il lancio del Decennio delle Scienze del Mare per lo Sviluppo Sostenibile, dal 2021 al 2030, ha voluto sottolineare come mari e oceani siano interconnessi a formare un unico ecosistema.

La Giornata Mondiale degli Oceani, promossa dalle Nazioni Unite l’8 giugno, rappresenta un’occasione per riflettere sull’importanza dell’oceano per la vita sulla Terra e sulla necessità di conoscerlo meglio.

“Molteplici sono gli ambiti d’azione della ricerca scientifica marina: oceanografia, ecologia, sostenibilità, sviluppo economico e conseguenti risvolti sociali” afferma Nicola Casagli, docente Unifi e presidente dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS. “È necessario aumentare la conoscenza dei fondali marini, ancora molto scarsa nonostante vi passino infrastrutture vitali come i cavi in fibra ottica. Paradossalmente, conosciamo meglio la superficie di Marte e della Luna”.

Indispensabili, poi, sono gli studi sulla biodiversità, di cui l’oceano è il più grande serbatoio. “La perdita di biodiversità minaccia il funzionamento degli ecosistemi marini” – aggiunge Casagli – rimarcando che la sopravvivenza di tante specie è messa a dura prova dalle attività umane e dal cambiamento climatico. “Il climate change – continua Casagli – ha due effetti principali: modifica le caratteristiche chimico-fisiche delle acque (temperatura e salinità) influenzando così la circolazione globale e ne determina l’acidificazione, a causa dell’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera, con gravi ripercussioni sugli ecosistemi marini ma anche sul clima del pianeta”.

Altro aspetto da attenzionare è l’inquinamento. A destare le preoccupazioni maggiori è ancora la plastica che, soprattutto con i frammenti più piccoli, delle dimensioni di millesimi di millimetro, riesce a entrare nella catena alimentare arrivando al nostro piatto. Ma ci deve spaventare la presenza di nuovi inquinanti, quelli definiti emergenti, antibiotici, ormoni, chemioterapici che agiscono sugli organismi marini provocando danni enormi a livello di comunità e di ecosistema.

Studiare il mare è certamente complicato e la ricerca, con grandi investimenti europei e mondiali, si sta concentrando sull’integrazione dei sistemi di osservazione. “I sistemi di monitoraggio terrestri sono ben sviluppati, ma quelli marini lo sono molto meno – spiega il docente Unifi –. L’obiettivo attuale è cercare di integrare le osservazioni satellitari con dati racolti dai siti fissi di monitoraggio (boe, ancoraggi) e dagli strumenti autonomi di misura (drifter, floats, AUV) per arrivare a ottenere non solo l’immagine di quello che sta avvenendo ma anche la previsione di quello che potrà accadere.

Una sfida socioeconomica complessa ma importante è la mappatura delle risorse minerarie. “L’attività estrattiva sottomarina (Deep Sea Mining) sarà imprescindibile per ottenere metalli e terre rare necessari per la transizione tecnologica e dovrà essere gestita in modo sostenibile, così da non replicare gli errori avvenuti nello sfruttamento delle risorse terrestri”.

Nell’ottica di un unico Oceano, anche il Mediterraneo fa dunque parte di questo sistema interconnesso. Le sue problematiche, pur essendo differenti, non sono isolate da quelle del Pacifico o dell’Artico. Anzi, il Mare Nostrum rappresenta un sorvegliato speciale.

“È un mare complesso, uno scrigno di biodiversità ma anche un hotspot climatico, cioè un’area del pianeta dove, per ragioni soprattutto fisico-geografiche, ma anche umane, il riscaldamento globale corre più veloce della media, determinando impatti più forti – sottolinea Casagli –. Il Mediterraneo è caratterizzato da un’altissima densità di attività umane: vi passa il 30% del traffico marittimo mondiale, metà della flotta peschereccia europea e il 25% del trasporto di petrolio; vi sono 450 porti e 150 milioni di abitanti lungo le sue coste. È fortemente soggetto a invasioni di specie aliene, che arrivano dal Mar Rosso attraverso il Canale di Suez, ma vengono importate anche dalle attività umane. Questi fattori, uniti all’importante impatto climatico, esercitano una pressione enorme su un ambiente già fragile”.


COPYRIGHT: © 2017 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE.
Eccetto dove diversamente specificato, i contenuti di questo post sono rilasciati sotto Licenza Creative Commons Attribution ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0).

Written By
More from Giovanni Gaeta

Imparare le tecniche più avanzate di risonanza magnetica nucleare

Il progetto FC-RELAX, coordinato dal Dipartimento di Chimica “Ugo Schiff” (DICUS) e...
Leggi di più