Il clima aguzzò l’ingegno dei nostri antenati

Il ricercatore DST Alessandro Mondanaro ha partecipato a uno studio pubblicato su Nature Reviews Earth & Environment, che ha analizzato gli effetti delle oscillazioni climatiche sull’evoluzione umana
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I cambiamenti climatici hanno stimolato l’ingegno dei primi uomini, portandoli a trovare soluzioni che hanno avuto un impatto determinante su adattamento, sopravvivenza ed evoluzione della specie umana.

A spiegarlo è un articolo pubblicato sulla rivista Nature Reviews Earth & Environment – intitolato “Past climate change effects on human evolution” – che vede tra i firmatari Alessandro Mondanaro, ricercatore di Paleontologia e paleoecologia del Dipartimento di Scienze della Terra (DST).

Lo studio riportato nell’articolo evidenzia come le forti oscillazioni climatiche, avvenute durante il Pleistocene, abbiano drasticamente alterato gli ecosistemi e gli ambienti occupati dalle specie di ominidi che si sono avvicendate nel corso del tempo. Per rispondere a questi cambiamenti, i nostri antenati sono stati costretti a evolversi – soprattutto a livello cognitivo – per colonizzare gradualmente aree con condizioni climatiche svantaggiose.

Tali riscontri sono stati resi possibili grazie allo sviluppo di nuove simulazioni paleoclimatiche che hanno inglobato una serie di parametri atmosferici ed astronomici in modo da poter ampliare notevolmente le conoscenze sulle condizioni climatiche degli ambienti abitati dai nostri antenati. Inoltre, la costruzione di un database univoco, che raccoglie i tantissimi dati archeologici sulla presenza umana in Africa e in Eurasia negli ultimi 3 milioni di anni, ha dato la possibilità di stimare le nicchie climatiche dei nostri antenati e la loro evoluzione nel tempo attraverso una serie di tecniche e tramite l’uso di diversi algoritmi statistici. I risultati di tali modelli hanno quindi avuto un ruolo determinante per comprendere e quantificare il reale effetto dei cambiamenti climatici sull’evoluzione umana.

Mondanaro ha elaborato e curato proprio i database antropologici – sotto la guida di Pasquale Raia, docente dell’Università Federico II di Napoli – e ha preso parte alla calibrazione di gran parte dei modelli statistici utilizzati per stimare la nicchia climatica delle specie umane, sviluppando un algoritmo per modellizzare la nicchia dei Denisoviani (ominidi vissuti tra i 280.000 e 30.000 anni fa).

Foto di Nature Reviews Earth & Environment

“È stato messo in luce che i primi esponenti del genere Homo, come H. habilis e H. ergaster, abitavano una gamma di ambienti molto limitata che ospitava i cosiddetti open environments, quelli che oggi conosciamo più comunemente come ambienti di savana, e avevano scarsa capacità di colonizzare nuovi ambienti con condizioni ambientali diverse da quelli nativi” spiega il ricercatore.

“Circa 2 milioni di anni fa, con la comparsa di H. erectus, il genere Homo è uscito per la prima volta fuori dai confini africani ampliando di molto le sue abilità dispersive, ma evitando di colonizzare aree situate ad alte latitudini caratterizzate da condizioni climatiche inusuali. Soltanto con la comparsa delle specie umane più avanzate, tra cui la nostra specie, si è avuta la completa colonizzazione del vecchio Mondo”.

Il processo è stato sicuramente favorito da un incremento delle abilità cognitive che ha permesso in primo luogo un arricchimento dal punto di vista culturale. Probabilmente proprio lo stress generato dalle continue fluttuazioni climatiche ha facilitato l’incremento di nuove interazioni sociali e nuove innovazioni culturali, come l’uso del fuoco e la produzione di indumenti. Tutta la serie di vantaggi che ne è derivata ha promosso la colonizzazione di tutti i biomi terrestri.

“In definitiva – conclude Mondanaro – abbiamo dedotto che la capacità di colonizzare ed adattarsi a nuovi ambienti caratterizzati da nuove condizioni climatiche sono stati fattori determinanti per l’estinzione di determinate specie umane e la nascita di nuove. In particolare, l’avanzamento culturale sembra aver giocato un ruolo fondamentale per la sopravvivenza della nostra specie fino ad oggi”.


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