Come salvare il reperto

Un progetto congiunto tra i Dipartimenti di Chimica e Biologia ha studiato il modo di preservare i resti ossei, essenziali per le ricerche in campo paleogenetico.

Nell’ambito dei Beni Culturali, i reperti ossei, in particolare quelli umani costituiscono dei reperti peculiari. Oltre a rivestire un interesse storico-archeologico, ossa e denti, grazie all’analisi antropologica e molecolare, offrono numerose informazioni utili per ricostruire il profilo biologico e la storia delle popolazioni antiche. Spesso, però, i resti scheletrici versano in condizioni di conservazione precarie e tendono a fratturarsi e a sgretolarsi durante le procedure di recupero.

Il progetto Nanoforbones, frutto di una collaborazione tra i Dipartimenti di Chimica e di Biologia, si è proposto di sviluppare metodologie di conservazione pratiche, adatte a preservare l’integrità dei reperti, senza interferire con le analisi molecolari, in particolare con lo studio del DNA attraverso analisi paleogenetiche.

Nei due anni di attività di ricerca è stato sviluppato un sistema consolidante innovativo basato sull’utilizzo di nanomateriali inorganici, di facile applicazione e totalmente compatibili con il tessuto osseo dal punto di vista chimico-fisico. Il sistema messo a punto è basato infatti sull’uso di nanoparticelle di idrossiapatite, il principale costituente della matrice ossea, e si pone come alternativa ai consolidanti tradizionali basati sull’uso di materiali polimerici di sintesi che, oltre a compromettere spesso la possibilità di eseguire una corretta datazione al radiocarbonio e a non garantire una durabilità del trattamento consolidante nel tempo, possono impattare negativamente sull’efficienza delle analisi genetiche.

Abbiamo messo a punto vari metodi di sintesi che hanno permesso di ottenere particelle di dimensioni nanometriche in grado di penetrare all’interno delle cavità delle ossa. Le particelle vengono poi cementate col substrato mediante soluzioni sature di fosfati – spiegano Emiliano Carretti e Martina Lari -. Il risultato è un incremento della compattezza e dell’omogeneità della matrice dell’osso, oltre a un notevole aumento della durezza (fino al 70%) che non altera in maniera significativa i risultati dell’analisi paleogenetica. Abbiamo potuto riscontrare infatti che sono comparabili i dati dai frammenti ossei trattati e quelli dai controlli non trattati.

Su questi presupposti, il progetto è andato avanti e ha coinvolto un nuovo partner – il LaBec dell’INFN di Firenze – con l’obiettivo di verificare gli effetti del trattamento consolidante anche sulla datazione al radiocarbonio.

Oltre ai proponenti, Emiliano Carretti e Martina Lari, il progetto ha coinvolto Stefania Vai, Valentina Zaro e David Caramelli del Dipartimento di Biologia, e Annalisa Salvatore e Giovanna Poggi del Dipartimento di Chimica. È stata successivamente avviata la collaborazione con Lucia Liccioli e Mariaelena Fedi dell’INFN di Firenze. Diversi aspetti del progetto sono stati inoltre oggetto di 5 tesi di laurea (di cui 2 ancora in corso) sia triennale che magistrale. Il finanziamento di circa 42mila euro è stato impiegato per finanziare un assegno di ricerca annuale al Dipartimento di Chimica, per l’acquisto di reagenti chimici e kit per le analisi paleogenetiche, e per supportare l’attività di disseminazione dei risultati.

 

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Martina Lari illustra il progetto “Nanoforbones”


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