Ius e ars oppure ius è ars? Il diritto si lega all’arte quale oggetto di disciplina, oppure il diritto è esso stesso una forma di espressione artistica? Questa la domanda con cui si apre il contributo, dedicato all’analisi del rapporto fra diritto e arte in alcuni brani di giuristi latini, contenuto nel Quinto volumetto dei Quaderni del Dottorato fiorentino in Scienze Giuridiche (di prossima pubblicazione). Il testo raccoglie gli atti del seminario conclusivo del ciclo delle attività comuni rivolte ai dottorandi in Scienze Giuridiche.
Fra i vari argomenti prospettati quale possibile oggetto di riflessione, lo scorso anno la scelta è caduta sul tema “Arte e Diritto”. Sono, infatti, numerose e del tutto evidenti le potenzialità insite in questo rapporto, che trova peraltro sede elettiva di discussione nella nostra città, che dell’arte è considerata “la culla”.
In tale contesto ha trovato spazio il diritto romano, che, con il contributo che qui si presenta (per la cui lettura integrale si rinvia al Quaderno di cui sopra), ha cercato di leggere la dialettica “diritto/arte” con le “lenti” dei giuristi romani.
Così, partendo dal concetto di arte, passando dal rapporto tra ars e techne, il cuore delle riflessioni è ovviamente dischiuso nelle parole degli autori latini. Due, in particolare, i riferimenti che, ad un tempo, orientano e circoscrivono l’esposizione: da un lato, Cicerone e la costruzione del ius civile “in artem”, ossia l’auspicata redazione sistematica del diritto, la sua riduzione a scienza, analogamente a quanto avvenuto per altre materie; dall’altro, la fortunata definizione di Celso – evocata da Ulpiano e tuttora considerata un “evergreen” – del diritto come “ars boni et aequi”.
In entrambi compare il binomio “ius/ars”, ma in due accezioni evidentemente diverse. Infatti, nelle testimonianze ciceroniane il termine “ars” pare utilizzato come sinonimo di “scientia” e, dunque, riferito alla costruzione di un sistema in grado di ordinare e razionalizzare il materiale giuridico. In sostanza, “ars” come “cosmos”, l’ordine in contrapposizione al “caos” costituito da ciò che non è “ars”.
Diversa è la rappresentazione celsina, dove l’arte è connessa ai concetti di “bonum et aequum”: termini che, ad un lettore moderno evocano i supremi principi di ragionevolezza, equità e iustitia, e che, d’altra parte, oggi come allora individuano il fine ultimo cui il diritto è proteso.
Questi, in sintesi, i passaggi in cui si articola il contributo, che, grazie al dibattito amplissimo sviluppatosi sul tema, cerca di richiamare l’attenzione su un profilo tanto discusso quanto affascinante: l’eventuale “identità” tra il diritto e l’arte. In altre parole, la possibilità di analizzare il fenomeno da una diversa prospettiva, considerando l’arte non tanto e non solo come un “alter” con cui il diritto inevitabilmente si rapporta, ma anche come un “idem” cui lo stesso potrebbe, in certo modo, essere assimilato.
Ma in quali termini il diritto può essere considerato un’arte? La risposta viene ancora una volta dalla dialettica tra arte e tecnica: il diritto è un’arte laddove si colga la sua essenza di prodotto artistico umano, di creazione artificiale e artigianale dell’uomo, che, attraverso la scienza e la tecnica, è in grado di risolvere i problemi che la quotidianità prospetta. In questo si manifesta la capacità creativa, l’autentica vena artistica del giurista, che attraverso l’ars del diritto costruisce la soluzione del caso concreto e, così, diviene “artifex”. In questo si coglie il senso del richiamo all’“intuizione” e alla “fantasia” che devono guidare il lavoro del giurista, affiancandone la rigorosa competenza tecnico-scientifica.
Ecco dunque il significato del titolo, che, in modo quasi provocatorio, si interroga se davvero il diritto possa essere qualificato alla stregua di un’arte.
Se questa, dunque, è la quaestio… rimettiamo “ai posteri l’ardua sentenza”? No, stavolta agli avi!