Ebrei in Cina durante il secondo conflitto mondiale

Giovedì 31 gennaio si inaugura presso la sede dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria”, la mostra “Ebrei in Cina durante il secondo conflitto mondiale. Shanghai, città rifugio dalle persecuzioni razziali”. L’esposizione è organizzata dall’Istituto Confucio dell’Università di Firenze in collaborazione con l’insegnamento di Lingua e Letteratura Ebraica dell’Ateneo, il Center of Jewish Studies di Shanghai, lo Shanghai Jewish Refugees Museum e la Comunità Ebraica di Firenze.
Per gentile concessione dello Shanghai Jewish Refugees Museum e del Consolato italiano di Shanghai - riproduzione riservata
Per gentile concessione dello Shanghai Jewish Refugees Museum e del Consolato italiano di Shanghai - riproduzione riservata

La mostra, che gode in particolare del patrocinio dell’Università di Firenze e del Comune di Firenze, sarà visibile fino al 28 febbraio 2019 e propone un’accurata documentazione – tra lettere, testimonianze e fotografie – che illustra le vicende e la vita degli ebrei nel quartiere di Hongkou a Shanghai. All’inaugurazione si accompagnerà un convegno che racconterà la storia degli ebrei in Cina e le vicende che portarono circa 18.000 ebrei in fuga da tutta Europa a causa delle persecuzioni razziali verso l’unico porto al mondo pronto ad accoglierli senza visto.

La storia degli ebrei in Cina, sebbene poco nota, è una storia millenaria. Le prime notizie sugli ebrei in Cina risalgono al VII-VIII secolo, come documentato da una lettera scritta in giudeo-persiano del 718 indirizzata ad un ebreo del Tabaristan, in Persia e un frammento liturgico scoperto nelle grotte di Mogao a Dunhuang (Gansu), nel quale compare il nome di Israele scritto in ebraico. La presenza di comunità ebraiche in numerose città e porti della Cina è testimoniata, a partire dal XIII secolo, dalle cronache dei missionari francescani e di Marco Polo e confermata da fonti ufficiali quali gli annali imperiali di epoca Yuan (Yuan Shi).

La prima testimonianza diretta risale all’epoca di Matteo Ricci (1552-1610), missionario gesuita in terra cinese durante l’impero di Mezzo (Zhong Guo). Nei suoi Commentari e nelle sue Lettere Ricci parla dell’antichissima comunità ebraica di Kaifeng, importante centro della provincia di Henan, di cui conobbe personalmente un membro nel 1605. Costui, descritto da Ricci come “un giudeo di natione e professione”, si era recato a Pechino proprio per conoscere i missionari-scienziati occidentali che riteneva suoi correligionari, avendo appreso che adoravano “il Re del Cielo”, e seguivano la “Legge Mosaica”. La notizia degli ebrei di Kaifeng suscitò molto interesse in Occidente, e numerosi furono coloro che nel corso del XVIII secolo intrapresero viaggi in Cina per documentarsi sulle loro tradizioni. Nell’epoca della sua massima floridezza, la comunità celebrava il culto in una splendida sinagoga (qingzhenshi), la maggiore dell’Asia orientale, eretta nel 1163 da mercanti giunti probabilmente dall’Iran e per due volte distrutta dalle alluvioni del Fiume Giallo.

A partire dalla metà del Seicento iniziò il declino non solo della comunità ebraica, ma della città di Kaifeng nel suo complesso. A metà dell’Ottocento le attività comunitarie cessarono, non essendo più presente un rabbino. L’isolamento da altri centri ebraici, l’influsso della sovrastante millenaria cultura cinese e i rapporti sempre più stretti con l’ambiente musulmano circostante furono fattori determinati nel processo di assimilazione. Nei primi anni del Novecento la comunità è ritenuta praticamente estinta, anche se i cognomi (xing) Ai, Chao, Kao, Li, Shi, recati dalle famiglie più ragguardevoli della comunità, indicano ancora oggi la discendenza ebraica della famiglia. Molti preziosi documenti, soprattutto manoscritti, fondamentali per la ricostruzione della storia degli ebrei di Kaifeng, sono attualmente custoditi nelle biblioteche di Cambridge, Oxford, Londra e Dallas. La toponomastica del luogo, tuttavia, ci restituisce ancora oggi un’eco della presenza e dell’intensa attività di studio dei testi sacri per la quale la comunità di Kaifeng doveva essere conosciuta, in particolare una strada, chiamata la “via dei Maestri della Scrittura” che si trova proprio nell’area della città in cui si concentrava la presenza ebraica.

La storia degli ebrei in Cina, tuttavia, non si limita né si esaurisce con le vicende della comunità di Kaifeng. Essa si configura anche come una storia di apertura ed accoglienza verso ebrei stranieri di varia provenienza.

Già dai primi decenni del Novecento, molti ebrei giunsero in Cina dalla Russia attraverso la ferrovia Transiberiana, insieme ad altri rifugiati in fuga dalla rivoluzione bolscevica. Essi si stabilirono per la maggior parte nella città di Harbin, in Manciuria, oggi capoluogo della provincia di Heilongjiang, che divenne presto una città russa-cinese in cui gli ebrei potevano vivere senza subire discriminazioni, godendo di piena libertà. Ad Harbin vennero costruite ben due sinagoghe, di cui una è stata restaurata e riaperta al pubblico nel 2005. L’accoglienza degli ebrei in Cina fu favorita dalla situazione di multicolonialismo internazionale venutasi a creare con l’apertura dei porti mercantili a partire dal Trattato di Nanchino del 1842. Fra questi, il porto di Shanghai ebbe un’importanza particolare per la storia di molti ebrei. Sin dalla seconda metà dell’Ottocento la città ospitò una comunità sefardita eccezionalmente prospera ed integrata. Documenti fotografici dell’epoca testimoniano che Sun Yat-sen (1866-1925), primo presidente della Repubblica di Cina, era ospite abituale della ricca famiglia dei Sassoon, mercanti ebrei sefarditi provenienti dall’Iraq. L’insediamento di una comunità ashkenazita, composta soprattutto da ebrei russi in fuga dai pogrom zaristi, risale invece alla fine dell’Ottocento.

Dal 1938 al 1941, gli ebrei ripercorsero questi medesimi tragitti per sfuggire alle persecuzioni razziali dei regimi nazi-fascisti. Fra le città cinesi, Shanghai rivestì un’importanza particolare come città rifugio per migliaia di profughi. Molti ebrei si imbarcarono da Trieste, e dopo l’entrata in guerra dell’Italia, dal Portogallo e da Marsiglia per raggiungere Shanghai, l’unico porto al mondo in cui fosse loro consentito l’ingresso senza passaporto né visto. Nel quartiere di Hongkou, in particolare, venne costituito un “Settore ristretto per i rifugiati apolidi” in cui si rifugiarono circa 18.000 profughi ebrei. Tutti gli immigrati che avevano raggiunto la città dopo il 1939 avevano l’obbligo di risiedere in questo quartiere, senza tuttavia esservi segregati.


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