“Nell’universo familiare ognuno di noi ricerca cura, sostegno, felicità, ma quando le iniziali condizioni di amore in una coppia non sussistono o sono negate dal possesso o dal dominio, le donne, oggi più che in passato, tendono a rompere convivenze dolorose, sia da un punto fisico che psicologico, allontanandosi”. Simonetta Ulivieri, insieme con Alessandro Pratesi, interviene domenica 17 gennaio 2021 alla lezione del ciclo “Incontri con la città”, dedicata al femminicidio oggi.
“Gli uomini che per secoli hanno esercitato in famiglia il potere e il comando in quanto maschi, spesso tendono a vivere male un rifiuto che nega tale dominio e tentano di ricondurre le donne nell’alveo di un rapporto tradizionale subalterno e asimmetrico attraverso l’uso della violenza – sottolinea Ulivieri -. La violenza contro le donne: fidanzate, conviventi, mogli, figlie, sorelle, si sviluppa in modo graduale, partendo da forme svalorizzanti e aggressioni verbali. Si tratta di una violenza, che tende a minare l’autostima, l’autoconsapevolezza e a negare i diritti di libertà. Tutto questo rende la donna vulnerabile, facendola sentire inadeguata e incapace. Ma la violenza tra momenti di riavvicinamento e nuove aggressioni tende a crescere fino a sfociare in forme estreme di violenza fisica, fino a cancellare la donna, accusata di mancanza di sottomissione e di disamore”. Nascono così le cronache contemporanee di tanta ordinaria e quotidiana follia che si esprime nel femminicidio. “Per cambiare – conclude Ulivieri – occorre sviluppare fin dall’infanzia, una lotta al pregiudizio, proponendo nuovi modelli educativi donna/uomo più rispettosi dell’altro da sé”.
“Quando parliamo di violenza contro le donne e di femminicidio, parliamo di fenomeni che sono purtroppo di natura strutturale, che attraversano censo e classi sociali e che sono riconducibili ad una cultura maschilista e patriarcale generatrice di relazioni tra i sessi sbilanciate e di rapporti sociali fondati ancora su una marcata discriminazione di genere – aggiunge Alessandro Pratesi correlatore dell’incontro – . In Italia, anche se sul fronte della prevenzione molto resta da fare, su quello della repressione e del contrasto alla violenza di genere molto è stato fatto, e sarebbe sbagliato pensare e lasciar credere che la soluzione del problema risieda prevalentemente in un aumento delle pene o nel ricorso alla castrazione chimica. Di fatto, ormai da qualche anno, il lavoro di contrasto alla violenza maschile contro le donne ha spostato il proprio focus dalla donna vittima di violenza all’uomo maltrattante. Questo cambio di paradigma ha portato alla realizzazione di programmi di trattamento rivolti agli autori di violenza e all’impegno sempre più cospicuo di professionisti di entrambi i generi nel lavoro di contrasto alla violenza”.
Vi sono ancora degli aspetti non sufficientemente indagati del fenomeno della violenza di genere “come le dinamiche emozionali rintracciabili in ciò che alcuni autori definiscono in termini di seduzione del crimine e altri in termini di riparazione morale a ciò che viene percepito come un attacco al proprio sé – aggiunge Pratesi -. Al di là dei singoli approcci, le emozioni e in particolare le cosiddette emozioni morali (umiliazione, vergogna, infamia, oltraggio, rabbia, ecc.) sono al centro della condotta violenta e la comprensione della violenza richiede pertanto un’attenta interpretazione fenomenologica di tali emozioni. L’approccio fenomenologico si concretizza a partire dal Sé e dai suoi sentimenti. Dal momento che le emozioni costituiscono strumenti e modalità di interazione, la violenza può essere compresa e contrastata solo se ci caliamo nel punto di vista di entrambi vittima e carnefice. Il sé del soggetto violento non risiede nella coscienza individuale, ma nel mondo dell’interazione sociale”.