30 gennaio 1968 ore 12. Un nutrito corteo di studenti universitari e medi – il «Corriere della sera» parla di 3000, «l’Unità» di 10.000 – sosta nell’atrio del rettorato in S. Marco in attesa di una delegazione salita a parlare con il rettore. Senza motivo la polizia – capeggiata, si dice, da un ex repubblichino – attacca. Gli scontri sono molto violenti, numerosi i feriti e i fermati. «È un’indimenticabile giornata di lotta», scrive «l’Unità»; è «la prima carica della polizia della storia del ’68», rivendicano i protagonisti.
La giornata fiorentina restituisce alla perfezione – al di là di qualsiasi intento celebrativo – il senso della prima protesta globale della storia, quale è il ’68, che è allo stesso tempo protesta locale e nazionale, in una simultaneità e circolarità inedite (qualcosa di simile è avvenuto con i moti del 1848, limitati però all’Europa). Posti tra le occupazioni del novembre 1967 e gli scontri di Valle Giulia di marzo, i fatti di Firenze si collocano in uno snodo importante del ’68 italiano; oltre a precedere di poche ore l’offensiva del Tet, che rovescia le sorti della guerra del Vietnam, infiammando i movimenti giovanili di tutto il mondo. Urlare La scuola è il nostro Vietnam, come fanno gli studenti, convinti di combattere la stessa battaglia a ogni angolo della terra, significa credere che l’uomo sia ancora indispensabile per sfidare il sistema, incarnato ora dalla nazione più ricca del mondo ora dalle università.
È l’effetto, tra le altre cose, di un’identità giovanile che si è definita grazie alla crescita dell’istruzione e di consumi culturali ormai senza confini nazionali, la musica in particolare, che hanno ridotto le differenze tra coetanei, approfondendo le distanze dalle generazioni precedenti.
Definito in un libro recente «un anno spartiacque», il ’68 è un evento dopo il quale niente più è come prima, che ha effetti a largo raggio e a lento rilascio sul costume, la mentalità, la politica. Culmine e crisi della Golden Age, cioè della fase di benessere seguita alla seconda guerra mondiale, è soprattutto un momento di passaggio, che in Italia è più radicale e prolungato nel tempo, a riprova di una modernizzazione squilibrata, che non ha eliminato ma accentuato le disuguaglianze.