Nello Spazio le ferite guariscono più lentamente

Presentati i risultati di un esperimento internazionale coordinato dall’Ateneo, con la partecipazione di aziende biomediche e atenei europei e il supporto dell'Agenzia Spaziale Europea e dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). I campioni biologici sono stati portati sulla Stazione Spaziale Internazionale e poi analizzati sulla Terra
Archivio fotografico 123rf.com - Riproduzione riservata
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Nello Spazio le ferite guariscono più lentamente, il processo di riparazione dei tessuti è alterato rispetto a quello che avviene sulla Terra: lo rivelano i risultati dello straordinario esperimento “Suture in Space”, realizzato da un team internazionale per capire gli effetti della microgravità sul processo di guarigione. Modelli di ferite suturate sviluppati a partire da campioni di tessuti biologici sono stati trasportati due anni fa sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), dove sono rimasti per nove  giorni prima di essere riportati sulla Terra e analizzati. Gli esiti del progetto sono stati presentati martedì 15 ottobre a Milano durante l’International Astronautical Congress, uno degli appuntamenti mondiali più importanti per l’esplorazione e i servizi spaziali.

Lo studio, durato ben sette anni dalla progettazione ai risultati, è stato guidato da Monica Monici, del Laboratorio Congiunto ASAcampus per la Biologia degli Stress Fisici realizzato dal Dipartimento di Scienze Biomediche Sperimentali e Cliniche dell’Università di Firenze e dalla Divisione Ricerca di ASA (Arcugnano, Vicenza), un’azienda leader nella produzione di sistemi laser per applicazioni mediche e apparecchi per magnetoterapia. La ricerca, selezionata dalla European Space Agency (ESA) e finanziata dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), ha coinvolto l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi e numerosi atenei italiani ed europei.

Nella prima fase del progetto, il Laboratorio Congiunto si è occupato di sviluppare dei modelli di ferite suturate basati su colture ex vivo di tessuti umani, cute e vasi sanguigni. Il tutto grazie allo sviluppo di una tecnica di coltura che ne preservava la vitalità per oltre 4 settimane. Questa attività è stata svolta in collaborazione con chirurghi dell’AOU Careggi e del Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica dell’Università di Firenze.

I campioni biologici sono partiti nel novembre del 2022 a bordo di SpX 26 (Cargo Dragon 2) dal Kennedy Space Center (KSC) di Cape Canaveral (Florida) per raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale. La missione dei ricercatori al KSC, al fine di preparare i campioni per il lancio,  è stata sponsorizzata da Revée srl (Torino), azienda leader nel settore dei dispositivi medici post-operatori utilizzati dai pazienti dopo interventi di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica.  Una volta a bordo dell’ISS, i campioni biologici sono stati inseriti in un incubatore alla temperatura di trentadue gradi. Dopo 4 giorni la metà sono stati congelati a meno ottanta gradi e l’altra metà ha avuto lo stesso trattamento dopo 9 giorni. L’hardware che ha permesso di svolgere l’esperimento in automazione sulla Stazione Spaziale Internazionale è stato realizzato dalle aziende Kayser Italia di Livorno e OHB di Brema in Germania.

Nella seconda fase, con la collaborazione degli altri partner del progetto, nazionali (Università di Milano, Università di Siena e Università del Molise) e internazionali (Università di Amsterdam, Università di Aarhus e Università di Lucerna), si è proceduto all’analisi dei campioni tornati a Terra.

“Tutti i campioni biologici – spiega Monica Monici – sono stati divisi e condivisi con i diversi gruppi di ricerca italiani ed europei coinvolti nel progetto. Ciascuno ha effettuato sulle porzioni di tessuto analisi specifiche i cui dati sono stati raccolti ed elaborati per ottenere un quadro d’insieme dei risultati”.

“Gli esiti dell’esperimento, in prima battuta, hanno confermato quello che altre ricerche, svolte preliminarmente, avevano già suggerito: il processo di guarigione delle ferite nello spazio è ritardato e alterato rispetto a Terra – spiega Monici -. Uno degli obiettivi principali del progetto era quello di ottenere informazioni sulla fase di rimodellamento dei tessuti durante il processo di guarigione delle ferite. I risultati ottenuti – continua Monici – dimostrano che nello Spazio ci sono importanti cambiamenti nei rapporti quantitativi tra le varie componenti della matrice extracellulare, che si riflettono anche sulle sue proprietà meccaniche. La matrice extracellulare è la componente non cellulare dei tessuti e non solo è un supporto strutturale per le cellule ma anche trasmette loro stimoli biochimici e meccanici, quindi svolge ruoli di primaria importanza. Inoltre, si sono osservate alterazioni riguardanti l’attivazione di popolazioni cellulari coinvolte nel processo di guarigione delle ferite, come i fibroblasti e i cheratinociti”.


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