Lupus, scoperto il legame con il rischio di patologia cardiovascolare

Trombi e rischio ossidativo al centro della ricerca condotta in sinergia dai Dipartimenti di Scienze Biomediche, Sperimentali e Cliniche e di Medicina Sperimentale e Clinica
Claudia Fiorillo, Matteo Becatti e Domenico Prisco

Perché chi soffre di lupus eritematoso sistemico ha un rischio fino a dieci volte superiore di sviluppare problemi cardiovascolari rispetto alla popolazione generale? Una risposta arriva da un nuovo studio condotto dai ricercatori del Dipartimento di Scienze Biomediche, Sperimentali e Cliniche “Mario Serio”, coordinati da Matteo Becatti e Claudia Fiorillo, e del Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, coordinati da Domenico Prisco.

Il lupus eritematoso sistemico è una complessa malattia autoimmune che colpisce diversi organi e apparati. Il rischio superiore alla media di eventi cardiovascolari che caratterizza quanti sono colpiti dalla patologia non dipende soltanto dai tradizionali fattori di rischio, ma risulta fortemente influenzato dall’attività della malattia e dallo stato infiammatorio cronico. In Italia sono più di 60mila i pazienti con lupus eritematoso sistemico, in particolare donne a partire dai 15 anni ed è proprio il sesso femminile quello maggiormente colpito dalla malattia.

Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Arthritis & Rheumatology, è stato svolto in collaborazione con Giacomo Emmi dell’Università di Trieste e ha coinvolto 144 pazienti con lupus e 90 persone sane come gruppo di controllo (https://doi.org/10.1002/art.43371). I ricercatori hanno scoperto che lo stress ossidativo, una condizione in cui si producono troppe molecole reattive che danneggiano i tessuti, può modificare il fibrinogeno, una proteina chiave per la coagulazione del sangue. Queste alterazioni rendono i coaguli più compatti e resistenti alla degradazione, aumentando così il rischio della formazione di trombi.

Le analisi condotte dagli scienziati fiorentini non hanno riguardato solo il sangue, ma anche campioni di tessuto renale in pazienti con nefrite lupica, confermando che i neutrofili e l’enzima NADPH ossidasi sono coinvolti nel danno d’organo.

“Il lupus non comporta solo un aumentato rischio cardiovascolare legato ai classici fattori di rischio quali colesterolo o pressione alta – spiega Prisco, docente di Medicina interna – ma è fortemente influenzato dall’infiammazione cronica e dall’attività della malattia stessa”.

“Un ruolo decisivo – aggiunge Becatti, primo firmatario dell’articolo e docente di Biochimica – lo giocano i neutrofili, cellule del sistema immunitario che, producendo radicali ossidanti (ROS), attivano meccanismi dannosi sia a livello degli organi colpiti dal lupus che del sistema circolatorio. Questo collegamento spiegherebbe perché i pazienti sviluppano più facilmente complicanze cardiovascolari”.

“Abbiamo identificato un nuovo meccanismo che chiarisce meglio il legame tra malattia autoimmune e complicanze cardiovascolari – spiega Fiorillo, docente di Biochimica clinica e biologia molecolare clinica –: i danni al fibrinogeno, infatti, aumentano con l’entità dello stress ossidativo e con la gravità del lupus”.

Con questi risultati, la ricerca può aprire nuove prospettive verso terapie mirate a ridurre lo stress ossidativo che potrebbero aiutare a proteggere cuore e vasi sanguigni nei pazienti con lupus.


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