Memoria e diritti umani

In occasione del Giorno della Memoria 2018, il rettore dell’Università di Firenze Luigi Dei ha ricordato gli universitari fiorentini allontanati da aule e cattedre, a seguito delle leggi razziali.
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La celebrazione della Giornata della Memoria cade quest’anno nell’ottantesimo anniversario della promulgazione delle leggi razziali, un’ignominia che non si potrà mai cancellare dai libri della storia nazionale. Un’infamia da ascrivere a quel regime fascista che si affiancò alla scellerata ideologia nazista. Sentire parlare di razza bianca, assistere a rigurgiti fascisti presenti oramai diffusamente – ultimo in ordine di tempo, qui molto vicino a noi, l’invio di minacce di morte alla Sindaca di Empoli cui esprimo in questa occasione la solidarietà dell’Ateneo fiorentino –, desta grande preoccupazione e ci obbliga a vigilare costantemente con la ragione, affinché ciò che è accaduto non si ripresenti in altre forme, con l’individuazione di nuovi soggetti da perseguitare.

E’ pericolosissimo, come giustamente e acutamente ha sottolineato pochi giorni fa il Presidente Mattarella, far cenno a ciò che di buono fece il fascismo. Possono anche centinaia di presunte cose buone messe in atto da quel regime bilanciare l’orrore di accondiscendere all’ideologia nazista sterminatrice? Le leggi razziali e l’alleanza con la Germania nazista, insieme a tutte le altre nefandezze del regime dittatoriale cancellano tutto il resto, perché la libertà e il rispetto dei diritti umani vengono prima di ogni altra qualsivoglia azione di governo e giustamente obnubilano tutto il resto. Tenere memoria è dunque un obbligo forte e l’Università deve essere sempre in prima fila. Giovedì scorso ero in un Liceo a Moncalieri, in provincia di Torino, a tenere una mia lezione su Primo Levi che oramai da undici anni porto in Italia e, nella sua versione inglese nel mondo, e che il sei di febbraio prossimo terrò all’interno del carcere di Dogaia a Prato di fronte a detenuti, studenti-detenuti del nostro Polo Penitenziario Universitario, agenti di custodia e personale delle associazioni di volontariato. Concludo questa lezione ricordando due frasi di Primo Levi molto pregnanti e attuali: “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario” e “la chimica insegna a vigilare con la ragione”.

Due esortazioni che è importante trasmettere alle nuove generazioni e a quelle che verranno e che devono stimolarci a trovare nuove forme di narrare memoria, originali, non retoriche, accattivanti – non mi vergogno a usare questo termine – perché l’importante è trasmettere messaggi che restino impressi. Il proseguo di questa cerimonia, che si terrà a breve su in Aula Magna, è stato da me progettato secondo questo approccio: attualizzare e rendere viva la memoria, affinché si comprenda che i perseguitati di ieri potrebbero drammaticamente reincarnarsi in nuovi perseguitati, con altre etnie, lingue  e religioni. E pertanto, il tema che si pone clamorosamente all’attenzione oggi è duplice, non solo memoria, ma anche diritti umani e giustizia sociale. Per questo ho deciso di intitolare il discorso che a breve terrò in Aula Magna “Memoria e diritti umani”, che oggi mi sembra una cifra da tenere costantemente sotto gli occhi.

Perché parlare di diritti umani associati al Giorno della Memoria?

La risposta è quasi scontata: perché la Shoah è stata una delle più terrificanti opere di violazione dei diritti umani, non la sola certamente, perché molti altri genocidi sono stati perpetrati negli ultimi due secoli, e infatti credo dovremmo aggiornare il termine di Giornata della Memoria in Giornata della Memoria e delle Memorie, perché tutti i genocidi devono avere pari dignità ed essere ricordati con energia, stimolando le tante ragioni che stanno nelle nostre teste ad attrezzarsi a reagire rispetto ai moti provenienti dalla pancia.

La Giornata della Memoria 2018 cade insieme a varie ricorrenze per le quali stiamo predisponendo una serie di iniziative: cento anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale, cento anni dalla nascita di Nelson Mandela, ottanta anni dalle Leggi Razziali, settanta anni dall’entrata in vigore della nostra Costituzione, cinquanta anni dalla rivoluzione dei costumi e dei diritti civili scaturita in seguito al Maggio francese del 1968. Mi fa piacere annunciarvi fino da ora che il prossimo 2 giugno, Festa della Repubblica, apriremo la nostra Aula Magna al mattino per ospitare una Lectio Magistralis del professor Paolo Grossi, che allora sarà Presidente Emerito della Corte Costituzionale.

Questa mattina i testi che ho scelto, e con i quali le nostre ragazze e i nostri ragazzi di Binario di Scambio si cimenteranno, ci richiamano proprio alla memoria di quel secolo breve, straordinario e drammatico. Un secolo di incredibili contraddizioni: due guerre mondiali, una rivoluzione, drammi planetari, il colonialismo, ma anche movimenti di liberazione, lotte sociali, progresso scientifico-tecnologico, diritti civili prorompenti, diritti umani, Europa prima divisa e in guerra due volte, poi unita e quindi nel secolo appena nato di nuovo a rischio divisione. Memoria e diritti umani: un binomio inscindibile.

Ecco il segno delle letture di Primo Levi, Nelson Mandela, Martin Luther King, ma anche il medico di Lampedusa Pietro Bartòlo, novello Schlinder, salvatore di migranti, anziché di vite ebraiche. E accanto a questi i poeti, perché la poesia distilla pensieri, sensazioni ed emozioni in modo icastico, con poche parole che però si incidono su pietra meglio e più energicamente dei discorsi: Pessoa e Ungaretti, artisti insuperati figli di quell’Europa affacciata verso altri mondi. Se ci pensate bene il dramma della Shoah, come di tutti gli altri grandi genocidi della storia, di ieri, di oggi e, ahimè, di domani, non è altro che la violenta affermazione della negazione dei diritti umani. Il razzismo è la quintessenza della negazione dei diritti umani.

Non è un caso che la nostra Europa ha voluto scrivere una sua carta dei diritti, quella Europa che nel secolo ventesimo ha visto questi diritti cancellati più di una volta in varie sue parti, con l’Olocausto manifestazione massima dell’abiezione a cui può arrivare l’uomo contro l’uomo. Mi piacerebbe sentire una campagna elettorale in cui i partiti e i loro esponenti ci raccontano come pensano, col loro programma di realizzare i sei diritti fondamentali: dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza, giustizia. E invece, nell’ottantesimo anniversario delle leggi razziali sento parlare di razza bianca in estinzione, di libertà sui vaccini, di promesse legate ai soldi e quant’altro. Certo, non è semplice declinare quei sei diritti in società complesse quali quelle contemporanee, con un mondo globalizzato in cui la ricchezza rischia di concentrarsi sempre più nelle mani di pochi, ma quanto meno varrebbe la pena di provarci. La memoria ci dovrebbe far ricordare che quegli oltre sei milioni di nostri simili saliti nel vento sono un anche monito forte a cercare di costruire un mondo migliore.

L’Università con le sue ricerche, con l’avventura del pensiero, con la trasmissione del sapere, con l’onestà intellettuale, può contribuire a creare le condizioni per costruire un mondo migliore, anche perché stiamo oggi formando coloro i quali domani governeranno questo Paese e questo mondo. Additare i credenti in una religione con epiteti razzisti come le leggi razziali fecero fu una ignominia, altrettanto infamante mi appare oggi additare un’altra religione, l’Islam, come causa di tutti i mali e le nefandezze del mondo. Facciamo molta attenzione: Primo Levi scrisse “è accaduto, può ancora accadere”, ma volutamente non specificò a chi potrebbe nuovamente accadere. Oggi celebriamo la memoria di eventi terribili, ma questo acquista senso solo se ci serve per costruire una coscienza civica e anticorpi in grado di preservare l’umanità da altre infamie. E allora la memoria chiama in causa la responsabilità. Questo è il binomio che ci deve illuminare per la strada del progresso, anziché della regressione e della reazione all’indietro. Responsabilità vuol dire lotta all’indifferenza, forse il peggiore dei mali.

Recentemente ho pubblicato sull’Informatore Coop un breve articolo sulla intitolazione della Casa dello Studente del Polo Scientifico a Gianfranco e Teresa Mattei, eroi della Resistenza. Scrivevo: “Perché dedicare una casa per gli studenti a Gianfranco e Teresita? La risposta è semplice: gli studenti universitari devono avere memoria, coscienza civile e rifuggire dall’indifferenza. Ci auguriamo che ogni volta che vedranno anche di sfuggita la lapide con questi due nomi, un passato di grandi ideali di libertà, democrazia, giustizia sociale resusciti dall’oblio. Ci auguriamo che questa casa, dove gli studenti dormono, vivono e s’incontrano, diventi luogo in cui matura, insieme alla crescita culturale, l’impegno civile che ci deve obbligare a essere sempre e ovunque “partigiani”. Perché ognuno, con le parole di Gramsci, possa pensare: « Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo… e ogni cosa che succede non sia dovuta al caso, alla fatalità, ma sia intelligente opera dei cittadini… vivo, sono partigiano, perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti ».” E bandire l’indifferenza significa tornare proprio al tema della memoria e della responsabilità. Concludo questa mia breve introduzione richiamando una bella frase dello scrittore Josè Saramago: “noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo; senza memoria non esistiamo e senza responsabilità, forse, non meritiamo di esistere”.


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