Il primo studio comparativo tra due molecole che prevengono le fratture nelle donne nel periodo successivo alla menopausa porta la firma di Maria Luisa Brandi, docente di Endocrinologia dell’Ateneo fiorentino, e di un team di ricercatori internazionali che si occupano di osteoporosi. I risultati sono stati illustrati su un articolo da poco pubblicato dal “The New England Journal of Medicine”(DOI: 10.1056/NEJMoa1708322).
Lo studio si è svolto su 4.093 donne ed è durato circa due anni. Metà delle pazienti ha ricevuto un trattamento di romosozumab per 12 mesi associato con l’alendronato nello stesso periodo. I trattamenti sono stati seguiti da 12 mesi di terapia con alendronato.
“Quello che abbiamo condotto è uno studio di tipo registrativo – spiega Maria Luisa Brandi – nel quale cioè si determina l’efficacia o meno di una molecola ai fini della registrazione nella farmacopea internazionale”.
“Più in generale – evidenzia Brandi – questa pubblicazione sull’osteoporosi è un esempio di quanto sia importante il ruolo dei ricercatori universitari nella sperimentazione clinica e di come certe competenze siano fondamentali per ottenere gli studi dalle industrie a livello internazionale”.
La ricerca ha evidenziato dopo 24 mesi che nel primo gruppo solo il 6,2% aveva riportato nuove fratture alle vertebre, contro l’11,9% del secondo (abbattimento pari a 48% a favore del romosozumab). Il 9,7% delle pazienti del primo gruppo ha riportato fratture cliniche, nel secondo la percentuale sale al 13% (riduzione del rischio del 27%).
Dello stesso tenore il riscontro avuto per fratture non vertebrali con una diminuzione dei casi pari al 19%. Per quanto concerne eventi avversi cardiovascolari si è registrata una incidenza del 2,5% nei pazienti trattati con romosuzumab contro l’1,9% nel gruppo alendronato.