Ridurre il dolore senza ostacolare la guarigione: la scoperta di Unifi

Pubblicato su Nature Communications uno studio guidato dal Dipartimento di Scienze della Salute che dimostra come alleviare la sofferenza del paziente senza interferire con il processo infiammatorio
Da sinistra: Francesco De Logu, Romina Nassini e Pierangelo Geppetti
Da sinistra: Francesco De Logu, Romina Nassini e Pierangelo Geppetti

L’infiammazione provoca dolore, ma è necessaria affinché il nostro organismo sia in grado di curarsi. E se fosse possibile guarire con minor sofferenza?

Un team di ricercatori del Dipartimento di Scienze della Salute (DSS) ha guidato una ricerca svolta in collaborazione con la New York University, l’Università della California di San Diego e lo spinoff fiorentino FloNext Srl. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Nature Communications e potrebbero rivoluzionare il modo in cui affrontiamo il dolore infiammatorio (DOI: https://doi.org/10.1038/s41467-025-63782-8).

Intitolato “Targeting Prostaglandin E2 Receptor 2 in Schwann Cells Inhibits Inflammatory Pain but not Inflammation”, l’articolo mostra che bloccare un recettore specifico delle prostaglandine (EP2) nelle cellule di Schwann – cellule che normalmente hanno il compito di proteggere le fibre nervose – riduce il dolore senza però interferire con il processo infiammatorio. Questa è una novità importante, perché l’infiammazione ha un ruolo positivo in quanto aiuta il corpo a riparare i tessuti danneggiati. Il problema è che spesso porta con sé dolore cronico, come quello dell’osteoartrosi o di altre malattie sempre più diffuse con l’invecchiamento della popolazione.

“I farmaci antinfiammatori non steroidei, ossia i comuni FANS come aspirina e ibuprofene, vengono usati da milioni di persone ogni giorno – spiega Pierangelo Geppetti, professore emerito di Farmacologia Clinica presso il DSS e oggi al Pain Research Center della New York University –. Tuttavia, agiscono bloccando in modo indiscriminato le prostaglandine, con conseguenze potenzialmente gravi sull’apparato digerente, sul cuore, sui reni e sul fegato, soprattutto se assunti a lungo termine. Il blocco mirato del recettore EP2, invece, potrebbe garantire lo stesso sollievo senza questi effetti collaterali”.

“Per decenni si è pensato che dolore e infiammazione fossero inseparabili – prosegue Geppetti –. Il nostro studio dimostra che è possibile alleviare il dolore lasciando che l’infiammazione svolga la sua funzione benefica di guarigione”.

Il team che ha condotto la ricerca, da sinistra: Martina Chieca, Matilde Marini, Pierangelo Geppetti, Giulia Brancolini, Elisa Bellantoni, Pasquale Pensieri, Gaetano De Siena, Francesco De Logu, Alessandra Mastricci, Lorenzo Landini, Martina Tesi, Mariarosaria Di Tommaso, Irene Scuffi, Viola Seravalli, Romina Nassini

Romina Nassini, docente di Farmacologia, sottolinea come “a differenza dei FANS, che bloccano tutte le prostaglandine, l’inibizione mirata del recettore EP2 non comporterebbe i rischi di effetti collaterali gravi”. Infine, Francesco De Logu, docente di Farmacologia cellulare e Farmacogenetica, evidenzia l’importanza degli strumenti di ricerca avanzata: “Grazie a vettori virali e tecniche di optogenetica (tecnica che utilizza la luce per controllare l’attività delle cellule nervose geneticamente modificate, ndr) siamo riusciti a ricostruire i meccanismi molecolari che legano il recettore EP2 al dolore infiammatorio”.

Secondo i ricercatori Unifi, sviluppare farmaci classici o a RNA capaci di colpire solo questo recettore nelle cellule di Schwann potrebbe portare a una nuova generazione di terapie: efficaci come i FANS ma senza i loro pesanti effetti collaterali, con particolare beneficio per la popolazione anziana.


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