Le spezie, il Nobel e la cura del dolore

C'è un filo rosso che collega le spezie, i vincitori del Premio Nobel per la Medicina 2021 e la ricerca Unifi, una relazione che ha al centro la cura del dolore cronico.
David Julius, premio Nobel 2021 per la Medicina e la Fisiologia insieme ad Ardem Patapoutian (Foto: University of California San Francisco UCSF)
David Julius, premio Nobel 2021 per la Medicina e la Fisiologia insieme ad Ardem Patapoutian (Foto: University of California San Francisco UCSF)

In epoca storica le spezie sono state l’obiettivo più ambito dei commerci e anche la spinta alle grandi scoperte geografiche. Ma oggi hanno aperto altre rotte verso scoperte altrettanto importanti per l’umanità. C’è un filo rosso che collega le spezie, i vincitori del Premio Nobel per la Medicina 2021 e la ricerca Unifi, una relazione che ha al centro la cura del dolore cronico.

Lo spiega Pierangelo Geppetti, ordinario di Farmacologia Clinica del Dipartimento di Scienze della Salute.

Per quali scoperte sono stati premiati David Julius (Università della California, San Francisco) e Ardem Patapoutian (Scripps Research Institute, La Jolla), i Nobel per la medicina e fisiologia di quest’anno?

Julius e Patapoutian hanno scoperto come il nostro corpo trasforma il contatto con l’ambiente (tatto, pressione, temperatura, sostanze) in sensazioni. Che, guarda caso, sono gli stessi meccanismi che ci fanno apprezzare le spezie. Cioè hanno scoperto i canali TRP: l’M8 attivato dal mentolo, l’A1 attivato dal freddo, dalla cannella e dal wasabi, il V1 attivato dal caldo, peperoncino e pepe, e così via. Ma tutti sappiamo che le sensazioni piacevoli prodotte dalle spezie, se la dose aumenta possono trasformarsi in esperienze molto dolorose. Ed è quest’ultima parola che ha mutato le scoperte dei due Nobel da un argomento storico, alimentare e di costume in un fondamentale tema di medicina e salute.

E in questo campo qual è il contributo della ricerca dell’Università di Firenze?

Il nostro gruppo di ricerca indaga da molto tempo il ruolo nella trasmissione del dolore dell’A1, M8 e V1 espressi in neuroni sensitivi che innervano tutti i nostri tessuti, dalla cute agli organi interni. È stata la capsaicina, che liberando il neurotrasmettitore che causa il dolore dell’emicrania, che ci ha permesso di avere gli anticorpi monoclonali contro questa molecola e i pazienti emicranici hanno finalmente una cura efficace e sicura.

C’è stata, quindi, una collaborazione con i ricercatori del Nobel…

Sì, dieci anni fa insieme a David Julius abbiamo scoperto che l’A1 è il sensore ed amplificatore dello stress ossidativo che tanta parte ha nel generare il dolore cronico che affligge più del 40% della popolazione anziana.

Come prosegue la ricerca oggi?

Grazie ad un finanziamento dell’European Research Council (ERC), con il progetto SCOPE, cioè Schwann Cell Options for chronic Pain Eradication, stiamo sviluppando strategie, basate anche su RNA, per bloccare in maniera efficiente e sicura il dolore cronico. Il nostro studio, cioè, punta a indagare quei processi che – si tratti di dolore infiammatorio, neuropatico o oncologico – prolungano il dolore fino a renderlo una vera e propria malattia. Questi meccanismi risiedono nel TRPA1, uno dei recettori coinvolti nella trasmissione del dolore dal singolo nervo al sistema nervoso centrale. In particolare, questo stesso recettore, presente nelle cellule di Schwann, che formano lo strato protettivo dei nervi periferici, stimolato dallo stress ossidativo prodotto dalle cellule infiammatorie, richiama a sua volta altre cellule infiammatorie, così amplificando e facendo persistere il segnale doloroso che diventa appunto dolore cronico.

Su SCOPE guarda anche il video


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