Sclerosi Sistemica, anticorpi e batteri “si parlano”

Lo studio condotto da Unifi mette in evidenza per la prima volta la relazione tra due tipi di autoanticorpi e le variazioni nella flora batterica lungo l’asse cute-bocca-intestino

Potrebbe rivelarsi un passo importante nella lotta contro la Sclerosi Sistemica (Ssc) quello compiuto dal team di scienziati Unifi e presentato nell’articolo pubblicato su Rheumatology (“The differential crosstalk of the skin-gut microbiome axis as a new emerging actor in systemic sclerosis”: https://doi.org/10.1093/rheumatology/kead208).

Protagonista delle attività di ricerca è stato il Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, le cui attività hanno messo in luce la correlazione tra la composizione del microbioma (la flora batterica) in pazienti affetti da Ssc e la presenza di due particolari tipi di autoanticorpi: anti Scl70 e anti-centromero (ACA), tipici della malattia.

Lo studio si è caratterizzato per un approccio integrato, in cui Amedeo Amedei ha coordinato le attività di laboratorio e di analisi del microbioma, mentre la parte clinica legata alla malattia e alla selezione dei pazienti presso la SOD di Reumatologia diretta da Serena Guiducci è stata supervisionata da Marco Matucci-Cerinic.

“La nostra ricerca – spiega Amedeo Amedei – ha valutato per la prima volta la composizione e i meccanismi del microbiota dell’asse cute-bocca-intestino in pazienti caratterizzati da anticorpi ACA e anti-Scl70. Lo studio ha mostrato differenze significative nel microbiota cutaneo e intestinale.  Sebbene l’effettivo legame tra autoanticorpi e microbiota risulti ancora da definire, sembra verosimile una influenza reciproca: i nostri dati potrebbero infatti suggerire che la diversa presenza dei due anticorpi possa modulare la composizione della flora batterica di cute e intestino, pur trovandosi in ‘distretti’ diversi, come se queste parti dialogassero tra loro”.

“Non possiamo ancora parlare di una relazione causa-effetto – aggiunge Edda Russo, incaricata dell’analisi dei dati e della stesura del lavoro insieme a Silvia Bellando-Randone – tuttavia abbiamo osservato che alcuni batteri dei due microbiomi sono correlati, ossia aumentano o diminuiscono allo stesso modo”.

“Siamo di fronte a dati preliminari che rivestono comunque una certa importanza in quanto esprimono un iniziale punto di riferimento per un ambito ancora scarsamente studiato – conclude Marco Matucci Cerinic –. In un prossimo futuro, una valutazione approfondita dell’asse microbiota-intestino-cute potrebbe consentire una suddivisione dei pazienti, permettendo così, fin dalle fasi più precoci di malattia di impostare una terapia personalizzata, disegnata sulle caratteristiche cliniche-batteriche del paziente”.


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