Il cinema è un’arte affascinante ma fragile. I materiali usati per le pellicole nella produzione dello scorso secolo hanno presentato, infatti, grosse problematiche di conservazione.
Un importante passo avanti nella salvaguardia di questa forma di arte viene da un gruppo di ricerca dell’Università di Firenze guidato da Emiliano Carretti, docente di Chimica dell’ambiente e dei beni culturali, che ha elaborato, a partire dagli studi della dottoressa di ricerca in Scienze chimiche Francesca Porpora, una metodologia basata su nanomateriali innovativi, in grado di arrestare e prevenire la cosiddetta sindrome dell’aceto.
I risultati delle ricerche dell’équipe del Dipartimento fiorentino di Chimica “Ugo Schiff” sono stati diffusi dalle riviste Journal of Cultural Heritage (“Artificial induction of the «vinegar syndrome» in cellulose acetate motion picture film and multi-analytical protocol for its monitoring” – https://doi.org/10.1016/j.culher.2024.11.013 ) e Macromolecular Rapid Communications (“Interactions Between Polyethyleneimine Xerogels and Acetic Acid Vapor from Degraded Cellulose Acetate. A Novel Therapy for Motion Picture Films Affected by the «Vinegar Syndrome» – https://doi.org/10.1002/marc.202500075 ).
“La sindrome dell’aceto – spiega Carretti – affligge tutte le pellicole in acetato di cellulosa, materiale che funge da supporto per l’emulsione sensibile su cui sono impressi i fotogrammi dei film. L’acetato di cellulosa ha sostituito, a partire dal 1920 circa, con grande vantaggio per la sicurezza, il precedente supporto in nitrocellulosa, altamente infiammabile – prosegue il ricercatore -, ma è soggetto a una grave patologia: i vapori di acido acetico (di qui il nome della sindrome) che si generano per degrado naturale innescano un processo che si autoalimenta e che porta rapidamente alla perdita delle proprietà ottiche e di resistenza meccanica delle pellicole colpite, che si deformano o si sbriciolano”.
Il problema del deperimento delle pellicole era stato finora affrontato con l’utilizzo di materiali, come il carbone attivo, che assorbe a livello superficiale i vapori acidi che si formano; in secondo luogo, si è pensato di conservare le pellicole in enormi frigoriferi per diminuire drasticamente la velocità del processo chimico di degrado. Ma se da una parte il carbone attivo si satura molto rapidamente e non assorbe più, per altro verso la sottrazione di troppa umidità rende le pellicole soggette a rotture, per non parlare poi dell’eccessivo dispendio di energia.
Le ricerche del team di chimici fiorentini hanno portato alla formulazione di una tecnica conservativa molto più efficace, meno dispendiosa e di più facile utilizzo. “Anzitutto – racconta Francesca Porpora – abbiamo testato un sistema di invecchiamento artificiale che ci ha consentito, in poche settimane, di produrre su campioni di acetato di cellulosa puro e su pellicole sane un tasso di sindrome dell’aceto confrontabile con i casi reali. Contemporaneamente abbiamo messo a punto un protocollo per l’uso di due xerogel (uno contenente nanoparticelle di ossido di zinco e un altro formato da poli-etilen-immina) che si presentano come piccole spugne”.
Gli esperimenti su singoli frammenti di pellicola hanno prodotto ottime prestazioni sia per l’assorbimento superficiale dei vapori di acido acetico che per la prevenzione dell’instaurarsi del processo auto-catalitico e del successivo degrado. La ricerca ha coinvolto anche il “Laboratorio di Restauro di Film” dell’istituzione “L’Immagine Ritrovata” di Bologna.
“Il passaggio successivo del nostro lavoro – ha commentato Emiliano Carretti – sarà verificare su larga scala i promettenti risultati ottenuti finora, per far sì che veramente il cinema diventi un’arte senza tempo”.