Anticorpi monoclonali e malattie autoimmuni e rare

Ricerca internazionale sviluppa un test diagnostico sulle reazioni avverse al trattamento. Pubblicazione su Scientific Reports sotto la guida dell’Ateneo fiorentino.
Archivio fotografico 123rf.com - Riproduzione riservata anticorpi
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L’artrite idiopatica giovanile è la patologia reumatica cronica dell’infanzia più frequente. Si tratta di un processo infiammatorio auto-immune che interessa le articolazioni, progressivamente invalidante se non opportunamente trattato e riconosciuto.

L’interessamento articolare in corso di artrite idiopatica giovanile può associarsi ad un grave fenomeno infiammatorio oculare, l’uveite, una grave complicanza che può esitare in cecità. In età pediatrica, esistono inoltre forme di uveite infiammatoria cronica non infettiva che si presentano in assenza di un interessamento articolare associato e sono definite idiopatiche.

Cosa accomuna le due patologie? Il fatto che possano essere curate con uno stesso anticorpo monoclonale. Gli anticorpi monoclonali, infatti, da più di venti anni sono una risorsa della medicina per il trattamento di molte patologie, ma possono produrre in alcuni pazienti una reazione immunitaria che ne annulla l’effetto terapeutico, talvolta con gravi conseguenze. Esiste, dunque, una vera e propria necessità di identificare questo tipo di reazione.

Passi avanti in tal senso giungono da una ricerca internazionale, pubblicata su Scientific Reports del gruppo Nature e guidata dall’Università di Firenze, che ha messo a punto un test sperimentale in vitro. Il test permette di capire se il sistema immunitario del paziente – affetto da artrite idiopatica giovanile o da uveite cronica non infettiva e curato con l’anticorpo monoclonale Adalimumab -produrrà anticorpi in grado di riconoscere e neutralizzare il farmaco. In sostanza, degli anticorpi che agiscono in senso contrario agli anticorpi monoclonali (“A peptidebased antiAdalimumab antibody assay to monitor immune response to biologics treatment in juvenile idiopathic arthritis and childhood chronic noninfectious uveitis” https://doi.org/10.1038/s41598-021-95920-9).

La pubblicazione è il frutto di un ampio studio multidisciplinare, coordinato da Paolo Rovero e Gabriele Simonini, docenti rispettivamente di Chimica farmaceutica e di Pediatria generale e specialistica presso il Dipartimento di Neuroscienze, Area del Farmaco e Salute del Bambino (NeuroFarBa) dell’Ateneo fiorentino. La ricerca è stata svolta presso l’Unità di ricerca interdipartimentale di Chimica e biologia di peptidi e proteine e, basato sulla collaborazione delle Sezioni di Scienze Farmaceutiche e di Età Evolutiva del Dipartimento NeuroFarBa con il Dipartimento di Chimica “Ugo Schiff” e con l’Università CY Cergy Paris (Francia).

Lo studio rappresenta un esempio di ricerca traslazionale, che mira in prospettiva a trasferire alla pratica clinica i risultati delle ricerche condotte al banco di laboratorio (“from bench to bedside“). “In taluni pazienti – illustra il punto di partenza Gabriele Simonini – la reazione immunologica aberrante non solo si traduce in una perdita di efficacia del farmaco, ma espone l’individuo a possibili reazioni avverse al farmaco, talora fatali. Per questo risulta fondamentale lo sviluppo di metodi per monitorare efficacemente i soggetti esposti ai farmaci biologici, identificando precocemente gli anticorpi che agiscono contro il farmaco biologico insieme alle eventuali conseguenze”.

“Il test – spiega Paolo Rovero – è basato su peptidi sintetici e permette di monitorare su un campione di sangue del paziente la risposta immunitaria al trattamento con l’anticorpo monoclonale. Ha permesso di osservare una correlazione significativa tra la presenza di anticorpi anti-farmaco nel sangue del paziente, l’andamento della malattia e la risposta al farmaco in uso”.

Il test è stato sviluppato utilizzando campioni provenienti da pazienti pediatrici affetti da artrite idiopatica giovanile e uveite cronica non infettiva, trattati con l’anticorpo monoclonale Adalimumab, presso l’Unità di Reumatologia Pediatrica dell’AOU Meyer.

“Una successiva, ampia validazione clinica del saggio – concludono Rovero e Simonini – potrebbe portare alla produzione di uno strumento diagnostico di notevole interesse per i clinici, allo scopo di guidare e personalizzare la migliore strategia terapeutica specifica da adottare per ogni singolo paziente”.


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