In ambito aziendale è sempre più diffusa la redazione di bilanci di sostenibilità, strumenti di dialogo con i portatori di interessi (stakeholder) su tematiche di impatto economico, sociale o ambientale connesse alle attività delle imprese.
Come si declina questa attività, espressione della responsabilità sociale d’impresa, in quelle attività che commercializzano prodotti o servizi che possono generare dipendenza tra i consumatori?
Da questa domanda ha preso spunto la ricerca, pubblicata su Journal of Business Ethics, curata da Marco Bellucci e Giacomo Manetti, docenti di Economia Aziendale del Dipartimento di Scienze per l’Economia e l’Impresa (DISEI), e Diletta Acuti, laureata presso l’Ateneo fiorentino e attualmente Senior Lecturer presso l’Università di Portsmouth (UK). Gli autori hanno passato in rassegna i report di sostenibilità di un ampio insieme di società del settore del tabacco, dell’alcool e del gioco d’azzardo, operanti in Europa, Regno Unito, Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda (“Preventive and Remedial Actions in Corporate Reporting Among ‘Addiction Industries’: Legitimacy, Effectiveness and Hypocrisy Perception” https://rdcu.be/c7bRc ).
Delle 162 aziende esaminate solo 49 hanno redatto bilanci di sostenibilità e solo una parte di questi ultimi tratta il tema della dipendenza che i prodotti commercializzati possono indurre.
I ricercatori hanno anche condotto un esperimento su come le diverse azioni di responsabilità sociale di impresa adottate dalle società siano percepite dagli stakeholder. A tale scopo sono stati coinvolti oltre 300 rispondenti online del Regno Unito (per il 55% donne, età media 37 anni), ai quali sono stati fatti leggere, in forma anonima, estratti di bilanci di sostenibilità per ottenere un parere al riguardo.
“Per capire lo scopo della rilevazione – spiegano Marco Bellucci e Giacomo Manetti – occorre sapere che la responsabilità sociale nelle imprese dei settori cosiddetti “controversi” si articola in azioni di tipo preventivo, di tipo correttivo o di tipo riparatorio. Le azioni di tipo preventivo si sostanziano in un avvertimento al cliente della possibilità di cadere in una dipendenza dal prodotto e della necessità di moderarne l’uso; le azioni di tipo correttivo individuano prodotti alternativi (come il fumo elettronico invece delle classiche sigarette o i soft drinks al posto dei superalcolici); infine vi sono le azioni riparatrici, come donazioni a gruppo di auto-aiuto per alcolisti, che si realizzano ex-post a danno effettuato”.
Dall’esperimento si desume che le azioni di tipo preventivo o correttivo sono generalmente giudicate più efficaci, più concrete e meno ipocrite rispetto a quelle riparatrici. L’assunzione di responsabilità è più netta fra le società produttrici di tabacco rispetto a quelle nel campo degli alcolici, mentre è quasi assente fra i produttori dei giochi d’azzardo.
“Si tratta – commentano i due autori Unifi – di uno dei primi studi che valuta come le aziende rendicontano il tema controverso della «dipendenza», che è difficile da legittimare a causa delle conseguenze negative a lungo termine dei prodotti o servizi offerti”.