Prima dell’Homo sapiens, in Sicilia vivevano le iene.
Circa 16mila anni fa, infatti, sull’isola erano molto diffuse le iene del genere Crocuta. Ad affermarlo è uno studio a cui ha partecipato l’Ateneo fiorentino, insieme ai ricercatori delle Università di Palermo (coordinatrice delle attività), Statale di Milano, Roma Sapienza, Bangor University e Cambridge: pubblicata sulla rivista internazionale Quaternary Science Reviews, la ricerca ha analizzato per la prima volta il Dna di una iena fossile della Sicilia (https://doi.org/10.1016/j.quascirev.2024.108859).
Tra i più iconici carnivori delle savane, la iena macchiata è oggi presente in buona parte dell’Africa sub-sahariana, ma durante il Pleistocene – tra 800 e 16mila anni fa – era diffusa in territori molto più ampi che includevano l’Europa e l’Asia; l’unica isola dove la presenza di questa specie è stata documentata dai fossili è la Sicilia.
Questa caratteristica rende le iene siciliane uniche da un punto di vista paleobiologico e offre agli studiosi una rara opportunità per comprendere meglio sia gli adattamenti che i processi evolutivi legati all’isolamento geografico di un grande carnivoro, estremamente raro in contesti insulari.
Grazie ai recenti avanzamenti nello studio del DNA antico, negli ultimi anni i paleogenetisti sono stati in grado di analizzare porzioni di DNA di alcune iene fossili, ad oggi tutte provenienti da siti nord europei o dal nord della Russia e della Cina, dove le temperature basse favoriscono la conservazione del materiale genetico. In ambienti a clima caldo, come quello mediterraneo, nei resti antichi il DNA si conserva con maggiori difficoltà.
Il DNA nucleare è stato estratto con successo da un frammento di coprolite, un escremento fossilizzato di iena di oltre 20 mila anni, proveniente dal sito della Grotta San Teodoro (Messina). I risultati delle analisi hanno svelato che le iene siciliane possedevano caratteristiche genetiche molto particolari, uniche tra tutte le iene fossili di cui si conosce il DNA.
“Questo studio dimostra come lo sviluppo tecnologico consenta di ottenere informazioni genetiche anche da substrati biologici complessi, come i coproliti” spiega Alessandra Modi, studiosa del Dipartimento di Biologia dell’Ateneo fiorentino
“Grazie alla grande mole di dati che si possono ottenere da un numero sempre maggiore di resti appartenenti a specie diverse, siamo in grado di delineare con elevata precisione la storia evolutiva non solo dell’uomo, ma anche di molteplici forme viventi” conclude David Caramelli, docente di Antropologia e direttore del Dipartimento di Biologia.