Terremoti, un nuovo metodo per identificare le zone a più alta pericolosità

E' stato messo a punto da un team di ricercatori dell'Ateneo fiorentino, del CNR e dell'Istituto Geografico Militare. Al riguardo è stato pubblicato un articolo su Nature Scientific Reports
Mappa del tasso di deformazione accumulato nella crosta terrestre e distribuzione dei terremoti recenti. Alti tassi deformativi sono presenti nell'Appenino centrale, nell'arco calabro e nella parte nord-est della Sicilia. I cerchi rappresentano i terremoti di magnitudo M ≥4 avvenuti nella penisola italiana dal 1° gennaio 1990 al 31 dicembre 2017.

La misurazione da satellite delle deformazioni del suolo permette di migliorare l’identificazione delle aree italiane a più alta pericolosità sismica. La metodologia è stata messa a punto da un team di ricercatori dell’Università di Firenze, dell’Istituto Geografico Militare (IGM) ente dell’Esercito Italiano e dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR che ha utilizzato le osservazioni satellitari per monitorare nel tempo le zone con elevato tasso di deformazione crostale. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Nature Scientific Reports.

I quattro autori dello studio – il coordinatore del progetto Gregorio Farolfi, di IGM, Nicola Casagli e Derek Keir, del Dipartimento di Scienze della Terra Unifi, e Giacomo Corti, del CNR – hanno lavorato sulle immagini dei radar satellitari raccolte dal 1991 al 2011 analizzando i movimenti superficiali del terreno su tutta la penisola italiana e calcolando il tasso di deformazione, o strain rate, che rappresenta l’energia deformativa accumulata nella crosta terrestre durante i processi tettonici.

“Ancora oggi non è possibile prevedere quando avverrà un terremoto – spiega Nicola Casagli – ma per avvicinarci sempre di più a tale obiettivo è necessario andare oltre alla analisi statistica dei dati sismici storici e strumentali, integrandoli con misurazioni molto precise sulle deformazioni superficiali della crosta terrestre che i recenti satelliti ci consentono”.

I ricercatori hanno ricavato la misura dello strain rate analizzando i movimenti dei punti appartenenti a una rete molto fitta di bersagli individuati dai radar satellitari, elaborati con la tecnica degli scatteratori permanenti (Permanent Scatterers) e integrati con i dati registrati dalle stazioni GNSS (Global Navigational Satellite System) e hanno descritto in termini quantitativi la relazione tra le zone ad alta deformazione e la distribuzione dei terremoti. A riprova di tale relazione, fra le aree italiane a maggiore tasso di deformazione documentate dallo studio ci sono quelle colpite dai terremoti recenti più forti.

 


COPYRIGHT: © 2017 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE.
Eccetto dove diversamente specificato, i contenuti di questo post sono rilasciati sotto Licenza Creative Commons Attribution ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0).

More from Silvia D'Addario

Mai trovato sulla Terra, mai descritto nello spazio, scoperto un nuovo materiale

Individuato nei laboratori fiorentini, potrebbe darci informazioni sullo sviluppo della vita sul...
Leggi di più