Lo spazio espositivo di un museo può essere una vera e propria finestra sulla vita degli uomini, anche la più nascosta.
È il caso della mostra “LibertÀrte oltre le sbarre. Oggetti e racconti dal carcere di Sollicciano”, aperta fino al 25 gennaio al Museo di Antropologia e Etnologia del Sistema Museale di Ateneo (Palazzo Nonfinito, via del Proconsolo, 12). La mostra nasce dalla volontà di rappresentare la vita di chi si trova in carcere e di farlo attraverso le parole scritte e gli oggetti realizzati dagli stessi detenuti, che sono stati anche i principali autori della progettazione dell’esposizione.
Il progetto – coordinato da Maria Gloria Roselli, curatrice del Museo di Antropologia e Etnologia – nasce in seguito all’esperienza del corso di scrittura creativa cha da anni Monica Sarsini organizza nel carcere di Sollicciano. L’iniziativa, fortemente sostenuta dal Sistema Museale di Ateneo – che fa parte della Rete Musei Welcome Firenze, promotrice di una visione del museo come spazio di relazione e inclusione – ha visto partecipi del gruppo di lavoro Anna Maria Cardini e Cataldo Valente, operatori del Museo di Antropologia, e ha potuto usufruire del supporto fondamentale della scuola CPIA 1 (Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti) di Firenze e, in particolare di Claudio Pedron, insegnante e operatore di lunghissima esperienza. Un importante apporto è venuto anche dalla Società italiana di Antropologia e Etnologia.
“Chi finisce in prigione si ritrova in un mondo chiuso – scrive un detenuto, spiegando l’idea che ha generato la mostra -. […] Un mondo dove, tra le altre cose, per ragioni di sicurezza, mancano molti strumenti di uso comune […]. Allora si mette in moto un meccanismo che stimola l’ingegno, che permette di inventarsi dei surrogati di utensili e qualche opera decorativa col poco che si ha a disposizione, in modo da trascorrere quel pezzo di vita, dentro a una piccola copia fantasiosa del mondo esterno”.
Ogni allievo detenuto ha scelto la propria forma espressiva per rappresentare la vita carceraria e le sue criticità: c’è chi ha fabbricato oggetti con materiali e strumenti essenziali, mostrando una creatività e una capacità di riciclo sorprendenti, e chi ha preferito produrre dei testi, racconti, storie per descrivere sensazioni e sentimenti che non possono lasciare impassibile chi legge. Così, da una pasta di farina e acqua sono state modellate sculture, così come le saponette sciolte sono state riplasmate in statuine e pupazzi. Gusci di conchiglie, parti di spugna, pezzi di lenzuola, stuzzicadenti, gusci d’uovo, riso, tutto è stato usato per produrre oggetti.
Il Museo di Antropologia è sembrato da subito lo spazio idoneo a ospitare la mostra. “Se gli antropologi studiano la struttura sociale e culturale di remoti gruppi umani in ogni continente – spiega Gloria Roselli -, anche quello rappresentato dal microcosmo del carcere può costituire un fecondo campo di ricerca degno di attenzione”. Il percorso che ha portato alla realizzazione della mostra, che si è aperta a giugno scorso, ha visto un incontro settimanale in carcere fra le operatrici del Museo e un gruppo di una ventina di detenuti. Per ogni oggetto prodotto, annotato e numerato, è stata redatta una scheda illustrativa, ogni passaggio è stato discusso insieme accuratamente fino al titolo dell’esposizione, superando le barriere della diffidenza. La mostra ha potuto contare su sostenitori d’eccezione: in un video all’interno dell’esposizione artisti come Alessandro Benvenuti, Enzo Brogi, Enzo Ghinazzi (Pupo), Paolo Hendel hanno prestato la loro immagine e la loro voce, insieme a Maria Concetta Salemi, nella lettura dei testi degli allievi detenuti.
“La vita quotidiana con i suoi tempi, le sue dinamiche e le sue angosce, prova a uscire fuori dalle mura del carcere per entrare in un museo universitario, a contatto con un pubblico vasto di visitatori, studenti, ricercatori e docenti – commenta Gloria Roselli – e getta un ponte verso il mondo esterno, in un’ottica di sensibilizzazione affinché la realtà del carcere, spesso rimossa, possa diventare meno invisibile alla coscienza di tutti”.
La mostra “LibertÀrte” è ospitata all’interno del Museo di Antropologia ed Etnologia fino al 25 gennaio (aperta da martedì a domenica dalle 9 alle 17).