Analizzate cellule cerebrali di oltre dieci anni fa

I Dipartimenti di Biologia, di Fisica e Astronomia e del NEUROFARBA sono autori insieme al LENS di una tecnica che permette di reidratare e studiare campioni di cervello umano in paraffina da decenni. La ricerca pubblicata su Communications Biology
La tecnica, applicata per la prima volta al tessuto cerebrale, permette di esaminare in dettaglio e in tre dimensioni campioni paraffinati a livello cellulare.

I ricercatori dei Dipartimenti di Biologia, di Fisica e Astronomia e del NEUROFARBA, insieme ai colleghi del Laboratorio Europeo di Spettroscopia Non Lineare (LENS), hanno sviluppato un metodo che permette per la prima volta di reidratare e analizzare in tre dimensioni campioni del cervello umano conservati per decenni in paraffina. In questo modo, sarà possibile ottenere dati fondamentali per chiarire meglio l’eziopatogenesi delle malattie, associando informazioni sulla struttura della corteccia a patologie genetiche dello sviluppo, tra le quali l’epilessia.

Il lavoro, pubblicato sulla rivista Communications Biology, è stato condotto presso l’Unità di Biofisica del LENS, diretta da Francesco Saverio Pavone. I risultati sono stati raggiunti grazie a uno sforzo congiunto a cui hanno partecipato – tra gli altri – l’Ospedale Pediatrico Meyer, il centro Carlo Besta e l’Università di Padova, che hanno fornito i campioni analizzati nello studio.

“Questi campioni sono stati raccolti diversi anni fa e conservati nelle biobanche ospedaliere, in molti casi proprio nella speranza che le tecniche future ne consentissero un’analisi più dettagliata” dichiara Irene Costantini, responsabile dello studio e ricercatrice di Anatomia, biologia cellulare e biologia dello sviluppo comparate presso il Dipartimento di Biologia.

I campioni analizzati erano stati racchiusi in paraffina, materiale che ne ha permesso la conservazione presso gli ospedali di accesso del paziente per decine di anni e successivamente sono stati “puliti” per le analisi. Quelli usati per lo studio risalgono a undici anni fa, un lasso di tempo relativamente lungo quando si parla di analisi di tessuti, e i ricercatori ritengono che si possano effettuare analisi anche su campioni più vecchi.

I ricercatori del LENS hanno applicato il metodo su due campioni cerebrali patologici, provenienti da pazienti che presentavano malformazioni focali dello sviluppo della corteccia. Queste anomalie cerebrali congenite possono causare epilessia e deficit cognitivi e motori. I campioni sono stati prima deparaffinati, sciogliendo la copertura protettiva, e poi reidratati. Una volta ripuliti, i tessuti sono stati esaminati in tre dimensioni con la microscopia a fluorescenza a due fotoni, che offre una risoluzione submicrometrica. “Esaminare un campione in tre dimensioni consente di ottenere molti più dati sulla sua struttura preservando il contesto spaziale originale e rivelando dettagli che nelle sezioni bidimensionali rischiano di passare inosservati” spiega Danila Di Meo, assegnista di Biologia e prima autrice dello studio. “È come la differenza tra leggere più pagine dello stesso libro e fermarsi a una sola”.

I ricercatori hanno poi analizzato, grazie a tecniche di apprendimento automatico, volume, forma, densità e raggruppamento delle cellule patologiche. “Si tratta di una grande mole di dati che necessita di metodi di intelligenza artificiale per poter essere elaborata – illustra Michele Sorelli, primo autore dello studio assieme a Di Meo e docente di Ingegneria dell’Informazione –. Abbiamo messo a punto un flusso di elaborazione dati che permette di caratterizzare la morfologia dei corpi neuronali e la loro distribuzione spaziale in tre dimensioni”.

Confrontando disposizioni strutturali con informazioni genetiche delle cellule patologiche, è possibile associare le diverse caratteristiche strutturali a una specifica variante genetica.

Lo studio, quindi, ha dimostrato che è possibile accedere a un archivio diffuso di campioni cerebrali, finalmente leggibili con moderne tecniche di analisi. Un archivio ospitato in moltissimi ospedali e che potrebbe aprire la strada a nuove applicazioni cliniche.

“Con più campioni di cervelli epilettici da poter analizzare – concludono gli autori della ricerca –, più accessibili con questa tecnica, possiamo aiutare sia la diagnosi che le conseguenze di questa malattia, così da fornire indicazioni cruciali a chirurghi e terapeuti”.


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