La correlazione tra i cambiamenti astronomici climatici e l’evoluzione del genere Homo è una delle principali evidenze di uno studio pubblicato da Nature dal titolo “Climate effects on archaic human habitats and species successions”(DOI 10.1038/s41586-022-04600-9) realizzato anche grazie al contributo di un giovane studioso dell’Ateneo fiorentino. Alessandro Mondanaro del Dipartimento di Scienze della Terra si è occupato in particolare di mettere insieme i dati che sono stati fondamentali per la ricostruzione delle nicchie climatiche dei nostri antenati.
La scarsa disponibilità di informazioni sul clima del passato e il numero limitato di reperti fossili umani hanno reso finora difficile definire in modo in cui il cambiamento climatico abbia inciso sulla storia evolutiva umana. In che modo è stato preparato il database di questo studio?
Il database dei dati antropologici utilizzati è frutto di un lavoro cominciato circa 4 anni fa, svolto soprattutto durante il mio periodo di dottorato presso l’Università di Firenze. Nonostante la scarsità di resti umani associabili alla nostra specie e ai nostri antenati, ho fatto affidamento su grande numero di occorrenze che testimoniano evidenze indirette della presenza umana.
Tra le altre, per esempio, il ritrovamento di litici ma anche orme, tracce di focolai, prime evidenze artistiche e segni di interazione sociale umana.
Attraverso l’attività di ricerca siete riusciti a risalire alle condizioni ambientali ottimali delle diverse specie appartenenti al genere Homo. Cosa sappiamo più di prima sulla relazione tra clima e i diversi stadi dell’evoluzione che coprono un arco temporale di quasi due milioni di anni?
Nell’articolo dimostriamo ancora una volta quanto il clima sia stato un fattore importante per i nostri antenati. Ha determinato quella che oggi possiamo definire l’ecologia delle specie umane del passato. Nello specifico, lo studio dimostra che per gran parte della loro esistenza, tutte le specie umane che ci hanno preceduto sono andate alla ricerca delle aree più favorevoli dal punto di vista climatico cercando quindi di mantenere costanti le loro abitudini e le loro preferenze ecologiche e selezionando aree idonee e ricche di risorse per viverci.
Quando però tutto ciò non è stato possibile, a causa della magnitudine o rapidità delle oscillazioni climatiche, sono andate incontro all’estinzione. Infatti, soffermandosi sugli ultimi intervalli temporali di ogni specie estinta, si evince come le aree potenzialmente idonee fossero molto più ridotte in termini di estensione rispetto agli intervalli temporali precedenti. Allo stesso tempo però, le medesime aree risultavano le più favorevoli per la specie umana successiva.
Questo è testimoniato, ad esempio, in Eurasia con il passaggio da Homo heidelbergensis a Homo neanderthalensis avvenuto circa 500 mila anni fa oppure in Sud Africa quando la nostra specie ha rimpiazzato l’Homo heidelbergensis circa 300 mila anni fa.
Nella vostra indagine ha avuto un ruolo significativo l’esame dei cambiamenti climatici determinati da fattori astronomici. Che cosa avete ricavato dallo studio di questa relazione?
L’avanzamento tecnologico ha permesso la realizzazione di emulatori paleoclimatici che che tengono conto anche di cambiamenti astronomici, come ad esempio la variazione dell’oscillazione dell’asse terrestre e dell’eccentricità dell’orbita terrestre. Questo ha permesso la ricostruzione del clima del passato con una risoluzione spaziale e temporale senza precedenti.
L’elevato dettaglio di questi nuovi dati ha permesso ad esempio di dare nuove indicazioni riguardo la ciclicità dei cambiamenti astronomici-climatici mostrando differenze nette tra le zone tropicali ed aree al di fuori dei tropici.