Dante, la terra e la geologia

Il Sistema Museale dell'Ateneo ha dedicato al settimo centenario della morte di Dante un'iniziativa per ripercorrere le fasi storiche che conducono alla moderna geologia, a partire dall’opera cosmologica attribuita all'Alighieri.

Cosa sapeva della terra un uomo del basso Medioevo come Dante Alighieri? Quanto avrà indagato prima di mettersi a scrivere la Comedía? E come? Le carte geografiche a sua disposizione descrivevano tre continenti, Europa, Asia e Africa, separati dal Mar Mediterraneo e circondati in ogni dove dal Mar Oceano. Il contorno incerto di quelle terre ricordava una mezzaluna. I manuali erano la Bibbia e i testi degli antichi, tra i quali spiccavano Aristotele e i suoi commentatori.

Il sistema “chimico” aristotelico si riduceva a quattro elementi fondamentali: terra, acqua, aria e fuoco, dal più pesante al più leggero. L’uomo e i viventi erano una mistura dei quattro elementi, contemporaneamente disponibili solo sull’insieme di terre emerse chiamato “quarta abitabile”, una visione confermata dai dottori della Chiesa. I quattro esistevano anche in quantità più o meno pura ma, essendo la terra il più pesante, come si spiegava la presenza delle montagne e dei tre continenti? Perché quell’ammasso non sprofondava verso il basso fino ad essere completamente sommerso dall’acqua, dall’aria e dal fuoco? Tutto era perfetto nel cielo sul quale si muoveva la luna, cosi i suoi moti perfettamente circolari. Ma come era imperfetto quel mondo terrestre nel quale era costretto l’uomo, come una formica su un’isola! Solcando per mari, si aveva l’idea che le acque formassero anch’esse una sfera perfetta, ma era poi così? E il centro dell’universo coincideva col centro della sfera terrestre o con quello delle acque? Si affaccia l’idea che salpando verso il largo spinti dai venti, in realtà i navigatori si muovessero in salita, fino a raggiungere altezze superiori alle più alte montagne. Un’idea che sopravvive nel parlato di noi uomini moderni quando diciamo “in alto mare”.

Alcuni contemporanei di Dante sostenevano quel punto di vista, funzionale a spiegare l’emersione della sfera terrestre in mezzo all’immenso oceano. Il ragionamento e l’esperienza tuttavia guidarono Dante nel 1320 a scrivere un trattatello, l’ultimo suo scritto prima della morte, intitolato Questio de aqua et terra e trasmesso nei secoli grazie a un’edizione del 1508. Qui l’Alighieri affronta, con la tecnica della Questio, la domanda centrale: “se l’acqua nella sua sfera, cioè nella sua circonferenza naturale, in qualche punto sia più alta della terra che emerge dalle acque e che comunemente chiamiamo quarta abitabile”. Su base geometrica e abile argomentazione, se non proprio originale rispetto a quanto già sostenuto da certi suoi contemporanei, il poeta dimostra che la sfera terrestre ha una gibbosità che emerge dalla più grande sfera delle acque, e che, nella sua forma di sfera imperfetta, pure mantiene il suo centro stabilmente al centro di tutto il cosmo.

Fossile descritto da Niccolò Stenone nel 1672 ed esposto al Museo di Geologia e Paleontologia - Università di Firenze
Fossile descritto da Niccolò Stenone nel 1672 ed esposto al Museo di Geologia e Paleontologia – Università di Firenze

Come si è passati dal modello geocentrico alla visione moderna? Per tutto il primo Rinascimento si è continuato a guardare all’opinione degli antichi scrittori come ad una saggezza superiore alla nostra, una sorta di Giardino dell’Eden della filosofia naturale. Nel concetto stesso di “rinascimento” stava l’idea che si dovesse volgere lo sguardo all’indietro nel tempo, alla ricerca non di nuovi fatti, ma di antichi scritti. Una interazione tra sapienza acquisita (ma da interpretare), esperienza della natura e ragionamento, che spesso generava conflitti interiori. Succede a Leonardo da Vinci quando, due secoli dopo Dante, affronta in alcune pagine scritte poco prima della pubblicazione della Questio lo stesso problema discusso da Dante, con analogo ricorso ad una dimostrazione geometrica. Chiudendo una di quelle pagine con le parole “son più antiche le cose che le lettere”, dopo aver dimostrato che “molti ànno presuntuosamente scritto, come la superfizie dell’acqua marina è più alta che ‘l maggior monte che si truovi”. Sorge in quel tempo una nuova era grazie alla scoperta che oltre all’oceano si trova una terra emersa che nessuno aveva mai descritto prima e che viene battezzata “America” in onore di un altro fiorentino che ne aveva informato il mondo: Amerigo Vespucci. La dimostrazione che non tutto quello che era in natura è già scritto nei libri. È l’era delle scoperte, anzi, del concetto stesso di “scoperta”, come rivelazione di cose nuove. Nel nuovo secolo si accresce lo stupore e si accende il desiderio di guardare oltre l’orizzonte dei punti che Dante dava per acquisiti. Così è per la proposta fatta da Niccolò Copernico che sia non la terra, ma il sole al centro del cosmo, pensiero reso pubblico nel 1543.

Affioramento roccioso ai piedi del Monte Ceceri, con strati che Stenone datava ai primi giorni della creazione, concordando evidenze naturali con narrazione biblica.
Affioramento roccioso ai piedi del Monte Ceceri, con strati che Stenone datava ai primi giorni della creazione, concordando evidenze naturali con narrazione biblica.

Aperto un varco nel chiuso mondo aristotelico, il poeta John Donne celebra nel 1611 la nuova filosofia con parole che meglio di tante altre descrivono il senso di straniamento di fronte alla ricomposizione che si va delineando: “new philosophy calls all in doubt, the element of fire is quite put out, the sun is lost, and th’earth, and no man’s wit can well direct him where to look for it.” Primo tra i nuovi filosofi e matematici Galileo Galilei, fabbricatore di strumenti e navigatore dei cieli. Dopo di lui, in Francia, René Descartes, che per primo propone uno spaccato del globo terracqueo e una teoria della terra nell’ambito dei più ampi Principia philosophiae del 1644. Penetrando con l’immaginazione dove non arriva lo sguardo, Descartes spiega come nascono i monti e in che rapporto stanno terra e acqua, influenzando le generazioni seguenti di “fabbricatori di mondi”. Tra di essi è il giovane Nils Stensen, celebre anatomista e filosofo naturale formatosi in Danimarca, Olanda e Francia, ma che sceglie la Toscana come luogo d’elezione per carpire il segreto dell’origine dei monti. Nel brevissimo De solido intra solidum naturaliter contento, stampato a Firenze nel 1669, descrive sicuri metodi geometrici per stabilire l’ordine degli eventi che portano alla formazione del rilievo e dei corpi in essi contenuti, come minerali e fossili. Con Stensen la terra trova una storia, una serie di eventi naturali che rispecchia quanto descritto nella Bibbia. Una benefica concordanza che per un po’ spinge lontano le cattive influenze di quanti in nord Europa, su base testuale, criticano la storicità degli eventi in essa descritti. Nell’ultimo quarto di secolo e per tutto il settecento si susseguono una serie di teorie della terra in rapida successione. Un vero e proprio genere letterario che tuttavia non è ancora “geologia” in senso moderno.

La prima carta geologica tesa a delucidare la storia della terra, pubblicata a Parigi da Georges Cuvier nel 1810 - Biblioteca di Botanica- Sistema bibliotecario dell'Ateneo
La prima carta geologica tesa a delucidare la storia della terra, pubblicata a Parigi da Georges Cuvier nel 1810 – Biblioteca di Botanica- Sistema bibliotecario dell’Ateneo

La geologia nasce a cavallo tra Settecento e Ottocento quando è ormai chiaro che i sistemi studiati a tavolino possono avere successo editoriale, ma non hanno stabilità perché facilmente sovvertibili con nuove speculazioni. Non potendo penetrare l’interno della terra, non potendo studiare fenomeni storici se non per gli effetti che hanno lasciato, non resta che darsi un’agenda di studio meticoloso dei rilievi montuosi. Un cammino a ritroso nell’oscuro abisso del tempo, guidati da principi geometrici di sovrapposizione di corpi rocciosi e dallo studio dei fossili che soli svelano in quale direzione si muove la freccia del tempo. Primo popolare maestro di questa nuova arte è Georges Cuvier, che dimostra l’estinzione delle specie che hanno abitato il pianeta nella notte dei tempi: il Mammuthus primigenius, ad esempio. O il suo antenato Mammuthus meridionalis, che Cuvier potè conoscere viaggiando in Toscana nei primi anni dell’Ottocento e grazie alla corrispondenza con i suoi colleghi che andavano ordinando a Firenze quelle preziose collezioni paleontologiche. Fossili: sicuri strumenti per correlare tra loro attraverso regioni distanti gli strati rocciosi che li inglobano e così ricostruire la storia di un unico globo terracqueo e dei viventi che lo hanno abitato, fino a noi.

 

 

Scheletro fossile di Mammuthus meridionalis, una specie estinta vissuta in Toscana e descritta a Firenze da Filippo Nesti nel 1825 in collaborazione con Georges Cuvier - Museo di Geologia e Paleontologia
Scheletro fossile di Mammuthus meridionalis, una specie estinta vissuta in Toscana e descritta a Firenze da Filippo Nesti nel 1825 in collaborazione con Georges Cuvier – Museo di Geologia e Paleontologia

 

Guarda il video dell’incontro “Dalla Quaestio de aqua et terra alla moderna geologia”

 


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