Enzo Ferroni, ricordo a 100 anni dalla nascita

Lo scienziato, creatore della scuola italiana della chimica applicata alla conservazione e al restauro del patrimonio culturale, è stato anche rettore dell'Ateneo fra il 1976 ed il 1979. Alla sua attività e opera è dedicata la Fondazione omonima.
Foto di Enzo Ferroni
Enzo Ferroni

Il 25 marzo 1921 nasce a Firenze Enzo Ferroni, uno dei padri spirituali della scienza applicata all’arte e, più in generale, alla conservazione del patrimonio culturale.

Ferroni si laurea in Chimica presso l’Ateneo fiorentino nel 1945. Nel 1954 lo troviamo libero docente di chimica fisica presso l’Università di Firenze, per divenire poi professore ordinario a Cagliari; dal 1964 al 1996 occuperà la prima cattedra di chimica fisica a Firenze. In questo Ateneo rivestirà le cariche accademiche più alte: direttore dell’Istituto di Chimica Fisica, del Dipartimento di Chimica nel primo triennio dalla sua fondazione, Preside della Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali e infine Magnifico Rettore dal 1976 al 1979. Nel 1997 gli viene conferito il titolo di Emerito dall’allora Ministro per l’Università e la Ricerca Scientifica. Nel 1993 fonda il Consorzio Interuniversitario per lo Sviluppo dei Sistemi a Grande Interfase (Centro di Ricerca Nazionale sulla chimica delle superfici e dei colloidi con sede centrale a Firenze) di cui resterà Presidente fino al 2006. Muore il 9 aprile 2007.

Al di là del valore dell’insigne scienziato studioso della chimica dei materiali (collabora a lungo col Premio Nobel per la Chimica Giulio Natta) e della cosiddetta soft matter, Enzo Ferroni può essere considerato a buon diritto uno dei maggiori pionieri nel campo delle scienze sperimentali applicate alla conservazione del patrimonio culturale.

Il suo interesse e la sua passione per contribuire alla salvaguardia delle opere d’arte nasce nei tristi e drammatici momenti successivi all’alluvione fiorentina del 1966. In quei giorni, come amava ricordare, sente il richiamo del “dovere civico” e promuove, fra l’indifferenza e lo scetticismo di molti suoi colleghi scienziati, il fecondo connubio fra scienza e restauro.

Non si accontenta di mettere al servizio della conservazione le sue competenze di scienziato chimico per la semplice diagnostica, vuole contribuire alla impostazione di nuove tecniche innovative – che poi si riveleranno rivoluzionarie – per la conservazione delle opere d’arte, in particolare per le pitture murali. Con il grande restauratore di affreschi Dino Dini inventa un metodo per la desolfatazione degli affreschi basato sulla duplice e successiva applicazione di carbonato d’ammonio e idrossido di bario, metodo che porta appunto i loro nomi e che è oggi applicato in tutto il mondo. E poi il tributilfosfato per staccare l’Ultima Cena di Taddeo Gaddi nel Cenacolo di Santa Croce invaso dalle acque dell’Arno, e ancora le microemulsioni e le malte autogene per i dipinti murali della Cappella Brancacci e tanti altri contributi di memorabile importanza.

Per lunghi anni Enzo Ferroni è stato un leading conservation scientist, come ha scritto il quotidiano inglese The Independent, noto in tutto il mondo in un Paese, il nostro, in cui la cultura scientifica troppo spesso è stata negletta e tenuta in disparte nel mondo complesso e composito della conservazione del patrimonio culturale: oggi, che fortunatamente così non è più, possiamo esprimere un profondo senso di gratitudine a questo insigne studioso che ha dato un contributo fondamentale alla realizzazione di un’integrazione paritaria fra le competenze umanistiche, tecnologiche e scientifiche.

Enzo Ferroni ha contribuito in modo fondamentale all’evoluzione del concetto di restauro scientifico, con la consapevolezza che la scienza deve incentivare l’approccio ad una conservazione realmente preventiva. Nel 1995 concludeva una conferenza plenaria al 1st International Congress ‘Science and Technology for the Safeguard of the Cultural Heritage in the Mediterranean Basin’ con queste parole: «Qualsiasi intervento di conservazione, sia su beni mobili che immobili, deve prefigurare non solo il restauro dell’opera, ma anche la puntualizzazione di condizioni ottimali per prevenire il degrado futuro, ossia deve prevenire, per quanto possibile, ulteriori interventi di restauro. In questo senso si potrebbero assumere come punto di riferimento, come regola d’oro della conservazione preventiva le parole di John Ruskin che così scriveva nel lontano 1849: ‘Il principio fondamentale dei tempi moderni … è quello di trascurare le opere d’arte prima, per poterle successivamente restaurare. Se avremo la giusta cura dei nostri monumenti, allora non necessiteremo più di frequenti restauri… Dobbiamo sorvegliare il nostro patrimonio culturale con ansiosa premura; dobbiamo custodirlo al meglio delle nostre possibilità e ad ogni costo, e proteggerlo dal deterioramento… e tutto ciò facciamolo affettuosamente, con atteggiamento di riverenza e continuativamente, e così le molte generazioni che nasceranno potranno sostare ancora sotto la sua ombra …’ ».

Se ancora centinaia di migliaia di visitatori sostano sotto l’ombra del Gaddi, dell’Angelico o di Masaccio dobbiamo essere grati anche al suo intuito, al suo ingegno e alla sua passione disinteressata.

 


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