L’Arno e il cambiamento della fauna acquatica

Uno studio con la partecipazione del Sistema Museale di Ateneo segnala, nel tratto fiorentino dell’Arno, la quasi completa sostituzione di pesci, molluschi e crostacei locali ad opera di specie invasive. Con conseguenze pesanti sulla biodiversità.

In Arno non ci sono più i pesci di una volta! Quello che potrebbe essere un rimpianto nostalgico di un fiorentino del tempo che fu, è in realtà un’affermazione scientificamente fondata.

Una ricerca pubblicata su Global Change Biology, a cui hanno partecipato due curatori del Sistema Museale dell’Università di Firenze, ha rivelato che nel giro di poco più di due secoli la popolazione ittica e di alcuni macroinvetebrati (molluschi e crostacei) nel tratto fiorentino del fiume Arno è completamente mutata (“Two centuries for an almost complete community turnover from native to non‐native species in a riverine ecosystem” https://doi.org/10.1111/gcb.15442).

Solo il 6% delle specie di pesci originarie dell’Italia sono sopravvissute, sostituite dall’invasione di specie non autoctone, provenienti dall’America, dall’Asia, dal Nord Europa. Il turn over ha riguardato anche i molluschi e i crostacei, di cui solo il 30% può attualmente essere descritto come autoctono.

Il team di ricercatori, oltre a sviluppare proprie indagini, ha studiato l’ecosistema del fiume nell’arco di 215 anni sulla base di numerosi documenti storici e collezioni museali. Importante in questo senso è stato il contributo fornito da Gianna Innocenti e Simone Cianfanelli, rispettivamente curatrice della collezione di crostacei ed echinodermi e curatore della collezione di molluschi del museo di Zoologia “La Specola” del Sistema Museale di Ateneo. Il coordinatore del lavoro è stato Phillip J. Haubrock afferente all’Istituto di ricerca Senckenberg e al Museo della Natura di Francoforte, ex post-doc del Dipartimento di Biologia dell’Ateneo fiorentino.

Ma come è avvenuto questo scambio faunistico, con ripercussioni sulla biodiversità totale dell’habitat, per cui oggi al posto di tinche, lucci, anguille, cavedani, rovelle e lamprede in Arno troviamo soprattutto i pesci-gatto punteggiati, i siluri, i pesci persico? La risposta va cercata nel quadro della crescita della regione intorno a Firenze tra il 1900 e il 1950, periodo durante il quale sono aumentate sia la domanda di fonti di cibo che il desiderio di attività ricreative. “Numerose associazioni di pescatori e gli stessi cittadini di Firenze hanno intensificato le loro attività di pesca – affermano i ricercatori -, introducendo a tal fine nel fiume in modo mirato anche specie non autoctone”.   Ma fra i motivi dello scambio fra specie vanno ricordati anche quelli relativi all’idromorfologia del fiume – precisano Gianna Innocenti e Simone Cianfanelli -: l’Arno è stato canalizzato e scavato, si è avuto perciò un aumento del trasporto di correnti e sedimenti, con distruzione delle tane dei pesci. A questo tipo di cambiamenti, così come al crescente inquinamento ambientale, le specie invasive si sono adattate meglio di quelle locali”.

Ma il caso dell’Arno, con la rottura dell’equilibrio ecologico e il rischio di estinzione di alcune specie, non è isolato: in molti fiumi europei la proporzione di specie non autoctone è aumentata in modo significativo e accende una spia ulteriore sul fronte del cambiamento ambientale.


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