Il sequenziamento genomico per la diagnosi prenatale

I ricercatori Unifi hanno individuato una nuova metodologia di sequenziamento genomico che potrà aprire la strada ad analisi più rapide delle alterazioni cromosomiche.
Archivio fotografico 123rf.com - Riproduzione riservata
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Un metodo innovativo che potrà aprire la strada a diagnosi prenatali in tempi ridotti. L’hanno sviluppato i ricercatori del Centro di ricerca e innovazione per le malattie mieloproliferative (CRIMM), guidati da Alessandro M. Vannucchi (a destra nella foto, assieme al team che ha firmato l’articolo), e della SOD di Diagnostica Genetica dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Careggi, diretta da Elisabetta Pelo. Lo documenta lo studio pubblicato sulla rivista scientifica Clinical Chemistry, con il coordinamento di Niccolò Bartalucci (“Long Reads, Short Time: Feasibility of Prenatal Sample Karyotyping by Nanopore Genome Sequencing”).

“Nel laboratorio del CRIMM, che si interessa di patologie oncoematologiche ben lontane dalla diagnostica prenatale, abbiamo messo a punto da poco il sequenziamento di terza generazione, basato sulla tecnologia dei nanopori, una delle più recenti piattaforme analitiche che riesce a leggere le sequenze del genoma in tempo reale, mentre il sequenziamento stesso è in corso – spiega Vannucchi-. Pertanto, ci è sembrato utile applicare questa tecnologia all’analisi di campioni di DNA fetale estratto da villo coriale e liquido amniotico”.

“L’identificazione precoce di alterazioni cromosomiche in campioni di tessuto fetale per la diagnosi prenatale di possibili malformazioni richiede metodiche di laboratorio capaci di fornire risposte certe in tempi rapidi – commenta Elisabetta Pelo- e le tipologie di analisi condotte attualmente richiedono un tempo non inferiore ai 7-10 giorni, anche in condizioni ottimali”.

“I risultati della nostra sperimentazione sono stati molto buoni: la metodologia ha consentito analisi più rapide e, per certi aspetti, più informative rispetto allo standard attuale, oltre che a costi inferiori – conclude Vannucchi -. Si tratta di uno studio pilota che potrà portare un significativo miglioramento nel delicato settore della diagnosi prenatale”.

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