Lemuri, roditori, carnivori, ma soprattutto ippopotami. Come hanno fatto a popolare il Madagascar, un’isola distante oltre 400 chilometri dal continente, i mammiferi che sono comparsi in epoche successive alla sua separazione dall’Africa, risalente a ben 160 milioni di anni fa? Dallo studio del gruppo di ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra, coordinato da Paul Mazza, viene la proposta di indagare la conformazione geologica dei fondali marini per ricostruire la colonizzazione di quella e di altre isole oceaniche da parte dei mammiferi.
“Per spiegare la colonizzazione delle isole come il Madagascar, che apparentemente non sono mai state connesse alle aree continentali – racconta Mazza, docente di Paleontologia e paleoecologia -, si fa sempre più ampio ricorso a teorie che rimandano alla possibilità che gli animali abbiano potuto raggiungere i nuovi territori utilizzando ‘zattere naturali’, cioè ammassi galleggianti di materiale vegetale, strappati da violente tempeste”.
Lo studio pubblicato dalla rivista scientifica Biological Reviews, – realizzato anche da Antonella Buccianti, docente di Geochimica e da Andrea Savorelli, dottore di ricerca – è una review della letteratura e dei dati relativi alle variabili e alle condizioni che devono essere soddisfatte perché un tale fenomeno si verifichi, che i ricercatori hanno sottoposto a elaborazione statistica.
“Abbiamo preso in considerazione numerose variabili, fra le quali la velocità delle correnti oceaniche, che da una ventina di milioni di anni fluiscono in una direzione non certo favorevole a potenziali colonizzatori trasportati su zattere, cioè dal Madagascar verso l’Africa, e il tempo durante il quale un animale può vivere senza cibo e acqua – spiega il ricercatore -. Secondo la nostra elaborazione statistica, basata sullo studio della forma della distribuzione di probabilità delle variabili considerate, mammiferi particolarmente sensibili, come ad esempio lemuri ed ippopotami, possono non avere avuto alcuna possibilità di raggiungere isole distanti mediante zattere naturali. È anche difficile immaginare che animali di oltre 2 tonnellate come gli ippopotami, possano essere trasportati su ammassi di resti vegetali galleggianti e rimanervi confinati per un tempo indefinito senza acqua né cibo ed esposti alla radiazione solare durante tutto il tempo”.
“I nostri risultati – conclude Mazza – suggeriscono la necessità di verificare se le strutture positive – cioè i rilievi sottomarini – presenti su fondi oceanici, siano emersi in epoche passate collegando le isole alle placche continentali”.