Un tuffo nel passato per scoprire quale sarà il futuro del nostro mare. L’Ateneo fiorentino ha partecipato a una ricerca multidisciplinare sulle possibili evoluzioni della biodiversità del Mar Mediterraneo. Lo studio, guidato dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli e svolto in collaborazione con l’Università di Vienna e il Consiglio Nazionale delle Ricerche, è stato pubblicato sulla rivista PNAS (DOI: 10.1073/pnas.2320687121).
“I risultati ottenuti lanciano un allarme su una possibile invasione di specie tropicali dall’Oceano Atlantico a seguito dell’aumento della temperatura dei mari dovuto al cambiamento climatico” dichiara Silvia Danise, docente di Paleontologia e paleoecologia del Dipartimento di Scienze della Terra e co-responsabile del progetto PRIN 2022 “Ecological effects of species range-expansions driven by climate: insights from the Last Interglacial (MIS5e, Pleistocene) of the Mediterranean Sea”.
Frutto della collaborazione fra biologi marini e paleontologi, il progetto del Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) ha ricevuto un finanziamento complessivo di 205 mila euro, di cui 108 mila assegnati a Unifi. Lo studio si è proposto di prevedere la possibile evoluzione della biodiversità mediterranea e per farlo ha analizzato il resti fossili di molluschi rinvenuti nel Mar Mediterraneo risalenti a circa 135-116.000 anni fa, quando il pianeta era in una fase climatica più calda rispetto a quella odierna.
“La Terra sta andando incontro a una fase di aumento delle temperature – spiega Danise –. Un passaggio che non è una novità per il nostro pianeta: durante il Pleistocene, l’epoca a cui risalgono i fossili da noi studiati, si sono alternate fasi glaciali e interglaciali più calde. Nell’ultima fase interglaciale, avvenuta circa 120 mila anni fa, le acque del Mediterraneo si sono riscaldate e hanno reso possibile un’invasione biologica da parte di specie marine che vivevano nell’Oceano Atlantico, al largo di Senegal e Capo Verde”.
Queste specie tropicali atlantiche – definite warm guest, ospiti caldi – una volta insediatesi sono entrate in competizione con quelle autoctone, finché l’ultima glaciazione ha reso di nuovo impossibile la loro sopravvivenza.
“Abbiamo ipotizzato che, se la temperatura nel Mar Mediterraneo salisse anche solo di pochi gradi, potrebbe verificarsi una nuova invasione biologica tropicale dagli esiti ancora sconosciuti – continua Danise – . L’orizzonte temporale è piuttosto ravvicinato: potrebbe avvenire nel 2100, se non già nel 2050, quando condizioni climatiche e salinità dell’acqua renderanno il Mediterraneo compatibile, come avvenuto 120mila anni fa. In uno scenario estremo, potremmo assistere ad una completa tropicalizzazione”.
Nel condurre la ricerca, gli studiosi hanno incrociato i dati sulla distribuzione geografica dei warm guest tropicali durante l’ultima fase interglaciale con la loro distribuzione attuale, in modo da modellare al meglio la nicchia ecologica delle specie e prevederne la distribuzione nel 2050 e 2100. A differenza dell’ultima fase interglaciale, il Mar Mediterraneo sta però già subendo un’invasione di specie tropicali che provengono dall’Oceano Indiano e dall’Oceano Pacifico, che ha visto un’accelerazione circa 30 anni fa in seguito all’allargamento del Canale di Suez. Gli autori dello studio pubblicato su PNAS prevedono che queste due invasioni biologiche trasformeranno in maniera irreversibile la biodiversità del Mediterraneo.
Danise ha contribuito alla ricerca fornendo i dati sulla distribuzione geografica e stratigrafica di determinate specie di molluschi tra bivalvi e gasteropodi. “Ho utilizzato dati reperiti in letteratura, cercando nelle pubblicazioni degli studi svolti nel Mar Mediterraneo e inerenti a depositi fossili dell’ultima fase interglaciale che testimoniavano la presenza dei warm guest. Ad esempio, sappiamo che specie tropicali di origine atlantica erano presenti dalla Spagna alla Grecia, fino alle coste palestinesi. Specie iconica tra i warm guest è il gasteropode di grandi dimensioni Thetystrombus latus, che durante l’ultima fase interglaciale dominava gli ambienti marini poco profondi, come la spiaggia sommersa”.