Due milioni di anni fa in Sudafrica, nella cosiddetta Cradle of Humankind (culla dell’umanità), hanno vissuto contemporaneamente i nostri antenati Australopithecus, Paranthropus robustus e Homo erectus. Lo dimostra uno studio internazionale pubblicato sulla rivista Science, a cui ha partecipato l’antropologo Jacopo Moggi Cecchi del dipartimento di Biologia (“Contemporaneity of Australopithecus, Paranthropus and early Homo erectus in South Africa” DOI: 10.1126/science.aaw7293).
Nel corso degli scavi condotti a Drimolen, un sito paleoantropologico situato presso Johannesburg, ricercatori e studenti di varie nazionalità hanno riportato alla luce due nuovi fossili importanti: si tratta di crani parziali, di due specie differenti, Paranthropus robustus e Homo erectus.
La loro datazione tra 2,04 e 1,95 milioni di anni fa, ottenuta grazie ad una combinazione di metodi diversi, è particolarmente significativa: finora gli studi collocavano queste due specie attorno a 1,8 milioni di anni fa; oggi si può invece affermare la contemporaneità di Paranthropus robustus e Homo erectus con specie del genere Australopithecus, presente in Sudafrica in un arco temporale che va dai 2,8 ai 1,98 milioni di anni fa.

“Si viene così a delineare – spiega Moggi Cecchi – un complesso quadro di elevata biodiversità di Ominini, i nostri antichi antenati, in un’area geografica limitata, con possibili conseguenze sulle interazioni tra le varie specie: l’implicazione è che questa condizione potrebbe avere contribuito all’estinzione delle forme del genere Australopithecus”.
Nel team di studiosi erano presenti ricercatori australiani, americani, tedeschi e sudafricani; per l’Italia, oltre all’Ateneo fiorentino, ha contribuito l’Università di Pisa che con Giovanni Boschian ha coordinato lo studio stratigrafico. Gli scavi nel sito di Drimolen hanno visto il coinvolgimento dell’Università di Firenze dal 2006, anche grazie al sostegno del programma di Missioni Archeologiche del Ministero degli Affari Esteri.
“La scoperta di nuovi fossili e più accurate datazioni (fra l’altro, il cranio di Drimolen è la più antica evidenza di Homo erectus in Africa) hanno dimostrato – commenta Jacopo Moggi Cecchi – che il processo evolutivo verso Homo sapiens non è riconducibile ad una successione lineare di specie in graduale cambiamento tra l’una e l’altra, ma è più simile ad un intricato cespuglio di forme diverse che hanno coesistito e molte delle quali si sono poi estinte. L’attività di ricerca sui reperti fossili rinvenuti a Drimolen in questi anni è ancora in corso, con la promessa che nuove scoperte – conclude il docente fiorentino – potranno contribuire a modificare le nostre conoscenze relative alla biologia e alla storia evolutiva delle più antiche specie della linea evolutiva umana”.