In un intervallo geologico compreso fra 3 milioni e 1 milione di anni fa, la Toscana era popolata da mastodonti, elefanti antenati dei mammut, grandi cervi, rinoceronti e ippopotami.
La straordinaria Collezione dei Mammiferi fossili del Valdarno, raccolta nel corso dei secoli da generazioni di studiosi e custodita nel Museo di Geologia e Paleontologia (via La Pira, 4), che fa parte del Sistema Museale dell’Ateneo fiorentino, riceve ora un prestigioso riconoscimento. È stata, infatti, selezionata dall’ International Union of Geological Sciences (IUGS) fra le prime geocollezioni di rilevanza storica e scientifica internazionale, collezioni cioè composte da rocce, minerali o – come in questo caso – fossili, fondamentali per ricostruire la storia della vita sul nostro pianeta e per la storia della scienza.
La collezione comprende le ossa fossili di mammiferi raccolte nella valle dell’Arno e studiate a Firenze fin dal tardo Rinascimento: il naturalista Andrea Cesalpino, custode delle collezioni del Granduca Ferdinando I, parla nel 1596 di ossa giganti ritrovate in Valdarno, che pure Niccolò Stenone 1668 interpreta come ossa di elefanti.
I reperti – custoditi dapprima nell’Imperiale e Reale Museo di Fisica e Storia Naturale, l’antico nome della Specola, e poi trasferiti nell’antico palazzo della Sapienza, l’attuale Rettorato, in Piazza San Marco – sono stati valorizzati nell’Ottocento dallo studio di Georges Cuvier, che descrisse in modo formale alcune specie, in collaborazione con Filippo Nesti, primo curatore moderno delle collezioni fiorentine e primo professore di Geologia in Italia presso la Specola.
Studiata da figure chiave della Paleontologia, come lo stesso Charles Darwin, la collezione è stata di fondamentale importanza per Augusto Azzaroli che ha definito l’ordine temporale con cui le specie animali si sono diffuse in Europa.
Fra gli esemplari custoditi nel Museo di Geologia e Paleontologia, di cui è responsabile Stefano Dominici, spiccano il mastodonte Anancus arvernensis, vissuto 3 milioni di anni fa e recuperato nell’Ottocento nei dintorni di Montecarlo (Arezzo), l’Hippopotamus antiquus, vissuto in Italia tra 2,2 milioni e 400.000 anni fa e che proviene addirittura dalle collezioni granducali, l’Equus stenonis, raccolto presso Terranuova Bracciolini (AR) e indicato da Igino Cocchi nel 1867 come tipo della specie da lui istituita.
O ancora l’esemplare di Leptobos vallisarni, raccolto nel 1884 nella stessa località e scelto come olotipo dall’autore della specie, Giovanni Merla, e, infine, l’eccezionale scheletro di Mammuthus meridionalis, ritrovato in connessione anatomica nel 1953 presso San Giovanni Valdarno, specie descritta per la prima volta da Filippo Nesti, qui rappresentata da un esemplare, il cui peso era di circa dodici tonnellate e la cui altezza arrivava quasi a quattro metri.