Gli echi sensoriali del passato condizionano il nostro modo di udire

Lo dimostra uno studio risultato di una collaborazione internazionale tra le università di Pisa, Firenze e Sydney pubblicato su “Current Biology”
Concetta Morrone, Hao Tam Ho, David C. Burr echi
Concetta Morrone, Hao Tam Ho, David C. Burr e

Siamo abituati a pensare che l’udito riporti fedelmente quello che succede intorno a noi, facendoci associare quello che sentiamo agli stimoli che i nostri sensi ricevono in quel momento. Uno studio appena pubblicato sulla rivista “Current Biology”, risultato di una collaborazione internazionale tra le università di Firenze, Pisa e Sydney, dimostra invece che la nostra percezione dei suoni è condizionata dall’eco dei suoni del passato recente.

«Molte delle nostre percezioni sono di fatto allucinazioni predittive, sono cioè attività nervose sollecitate da stimoli precedenti che condizionano la percezione di quelli successivi, proprio come l’eco di un suono che, riverberando, si combina con i suoni seguenti, modificandoli – spiega Tam Ho, giovane post-doc all’Università di Pisa e prima autrice dell’articolo –. Questi processi non sono di natura cognitiva: la predizione altera l’analisi anche di segnali sensoriali molto semplici e la loro selettività suggerisce che l’interazione avvenga nelle cortecce sensoriali».

Il team di ricercatori ha iniziato a fare luce su alcuni meccanismi alla base di questa percezione predittiva, dimostrando che i segnali predittivi sono estremamente selettivi e non costanti nel tempo. I ricercatori hanno dimostrato che la capacità di localizzare la provenienza di un suono (da destra o da sinistra) è condizionata dallo stimolo precedente. «Questo condizionamento si protrae per molti secondi se non intervengono ulteriori stimoli sensoriali – spiega la professoressa Maria Concetta Morrone dell’Università di Pisa, tra gli autori dello studio – La traccia di memoria degli stimoli precedenti si riaccende e riverbera ogni volta che si ripresenta uno stimolo che proviene dalla stessa posizione nello spazio».

Quindi la modulazione predittiva è ritmica e pulsa a un ritmo di 9 “battiti” al secondo. Questa frequenza, detta ritmo alfa, è una delle frequenze predominanti delle oscillazioni neuronali endogene che il cervello genera continuamente ed è affascinante pensare che questo ritmo trasporti informazioni predittive e selettive.

Sebbene i ricercatori in queste ricerche abbiano studiato l’udito, ritengono che gli stessi principi siano validi per tutti gli altri sensi. “La percezione è un fenomeno attivo – chiarisce David Burr, autore corresponding dell’articolo e titolare del grant dell’European Research Council che ha finanziato la ricerca -: la previsione di quello che dovrebbe essere lo stimolo in arrivo può dominare la percezione e perfino annullare completamente la nuova informazione sensoriale”.

Il team di ricercatori in passato ha dimostrato che l’abilità di predire lo stimolo in arrivo è minore nei soggetti affetti da autismo o con tratti di personalità autistici. “I risultati dello studio potranno avere rilevanza anche per la comprensione di alcune patologie – conclude Burr -. La sfida sarà capire se questa ridotta abilità predittiva sia associata a un’alterazione dei meccanismi di riverberazione della traccia di memoria degli stimoli appena estinti”.


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