Malattie autoimmuni sistemiche e vulnerabilità al nuovo Coronavirus

Uno studio firmato dai ricercatori dell'Università di Firenze mette in luce per la prima volta che il rischio di ammalarsi non sembra aumentare per i pazienti affetti da tali patologie.
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Chi soffre di malattie autoimmuni sistemiche, come il Lupus Eritematoso Sistemico, non sembra correre un rischio più elevato di contrarre il virus SARS-CoV-2 rispetto al resto della popolazione. Lo suggerisce lo studio firmato dai ricercatori dell’Università di Firenze, pubblicato sulla rivista scientifica Autoimmunity Reviews, che ha preso in considerazione un nutrito gruppo di pazienti toscani.

Lo studio è stato condotto dal team coordinato da Domenico Prisco, nell’ambito del Centro dedicato alle patologie autoimmuni sistemiche dell’Azienda ospedaliero-universitaria Careggi, e ha coinvolto i ricercatori dei Dipartimenti di Medicina sperimentale e clinica, di Scienze biomediche, sperimentali e cliniche e di Neuroscienze, psicologia, area del farmaco e salute del bambino.

Nella prima metà di aprile, i ricercatori hanno contattato telefonicamente 458 soggetti affetti da malattie autoimmuni sistemiche, residenti in Toscana, per confrontare su tale campione la presenza di pazienti con infezione da SARS-CoV-2, diagnosticata mediante tampone naso-faringeo, rispetto a quella rilevata nella popolazione generale residente in Toscana.

Nello studio abbiamo preso in considerazione uno spettro molto ampio di patologie autoimmuni sistemiche – spiega Giacomo Emmi, ricercatore di Medicina interna -, le malattie del tessuto connettivo (in particolare il Lupus Eritematoso Sistemico), le artriti e le vasculiti sistemiche, ma abbiamo coinvolto anche pazienti affetti da malattie auto-infiammatorie come la febbre mediterranea familiare, pericarditi ricorrenti e uveiti”.

Fra i pazienti contattati dal team – in maggioranza donne e con un’età media di 56 anni – 13 hanno riferito sintomi sospetti di infezione da SARS-CoV-2, sette sono stati sottoposti a tampone naso-faringeo e, fra questi, una paziente ha sviluppato successivamente uninfezione sintomatica severa che ha richiesto lospedalizzazione.

Dall’indagine, che può contare su un campione molto ampio, è emerso che nella nostra coorte la prevalenza di infezioni dovute al nuovo Coronavirus era pari allo 0,22% – aggiunge il ricercatore -, dato sovrapponibile alla prevalenza di infezioni da SARS-CoV-2 rilevata nella popolazione residente in Toscana (0,20%) e paragonabile all’incidenza nella popolazione italiana ed europea, nel periodo preso in considerazione”.

Un’altra evidenza emersa – prosegue Domenico Prisco -, è che nei pazienti con difese immunitarie abbassate, situazione questa collegata al controllo della patologia autoimmune sistemica, non abbiamo verificato manifestazioni compatibili con l’infezione da SARS-CoV-2. Pur non avendo ancora conferma dell’efficacia protettiva delle terapie immunosoppressive – conclude Prisco – i nostri risultati sembrano intanto suggerire che, in caso di contagio da SARS-CoV-2, non vi sia necessità di interrompere le terapie in corso per le patologie sistemiche autoimmuni in atto”.


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