Pandemia e modelli di sviluppo rurale

Una ricerca in collaborazione con la Divisione Ricerche Finanziarie della Banca Centrale Europea ha indagato sulla possibile relazione fra livello di diffusione della pandemia sul territorio nazionale e l'intensità delle attività svolte in ambito agroindustriale.
Map of rural landscape types with the distribution of cases of COVID‐19 (da European Central Bank - Working Paper Series, "Covid-19 and rural landscape: the case of Italy").

Gli studi sulle caratteristiche di molte patologie, inclusi i virus, prevedono sempre anche l’analisi delle condizioni economiche, sociali ed ambientali, che influenzano la loro diffusione. In collaborazione con la segreteria tecnico scientifica dell’Osservatorio Nazionale del Paesaggio Rurale e con la Divisione Ricerche Finanziarie della Banca Centrale Europea (BCE), è stata condotta una indagine per valutare l’eventuale correlazione fra la diffusione dei contagi da Covid-19 sul territorio nazionale e il diverso livello di sviluppo, classificato in base alla intensità delle attività socio economiche. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista internazionale Landscape and Urban Planning e sulla Working Paper Series della BCE.

Metodologia dell’indagine

La prima fase del lavoro ha prodotto una classificazione del territorio italiano utilizzando i dati dei piani nazionali di sviluppo rurale che ha portato a definire 4 categorie:

  • Aree rurali urbane e periurbane. Includono le aree rurali urbane e limitrofe in cui ricadono 195 comuni con una densità media di popolazione molto elevata (circa 1.510 ab./kmq). Sono compresi i capoluoghi di Regione, gran parte dei capoluoghi di provincia, le grandi aree metropolitane e quelle aree ad alta densità abitativa. In alcune aree, immediatamente a ridosso del tessuto urbano, si concentrano anche le attività industriali, tra cui quelle agroalimentari. Le caratteristiche descritte descrivono queste come aree agricole ad alta intensità e con importanti impatti ambientali.
  • Aree ad alta intensità energetica. Aree di pianura che presentano una agricoltura intensiva, collocata essenzialmente nel centro-nord del Paese, che generalmente incorporano al loro interno le aree di tipo A. Complessivamente, si estendono su 1.782 comuni, che ospitano la parte “centrale” del sistema agro-industriale. Queste aree producono il 38% del valore aggiunto agricolo nazionale (VA). Si tratta di aree densamente popolate (313 ab./kmq), con forte specializzazione nell’agricoltura e nell’agro-industriale. Anche queste sono aree agricole ad alta intensità e con importanti impatti ambientali.
  • Aree a media intensità energetica. Aree di collina e di montagna, prevalentemente o significativamente rurali. Complessivamente, sono 3.084 comuni che rappresentano il 29,50% della popolazione italiana e il 33% circa della superficie territoriale. L’attività agricola in queste zone è complementare ad altre attività, ma contribuisce al 33% del VA nazionale. Si tratta di aree con agricoltura a carattere meno intensivo rispetto alle aree A e B.
  • Aree a bassa intensità energetica. Soprattutto la montagna e la collina significativamente rurale meridionale, la montagna del centro-nord con più spiccate caratteristiche di ruralità e alcune aree di pianura del sud e delle isole. Sono le zone meno popolate del paese (59 ab./kmq), caratterizzati da importanti fenomeni di abbandono negli ultimi decenni soprattutto nelle regioni meridionali. Pur ospitando il 13,41% della popolazione, occupano il 45,6% della superficie territoriale suddivisa in 2.865 comuni. In termini settoriali, queste zone rappresentano il 20% degli occupati agricoli e il 17% del VA nazionale.

Risultati

In sintesi, l’Italia può essere divisa in due macroareeA e B da una parte, C e D dall’altra – in base al modello di sviluppo: alta e bassa intensità. Stando ai dati resi noti dalla Protezione Civile nel mese di ottobre 2020, nelle aree a bassa intensità, meno industrializzate ci si ammala quasi tre volte di meno rispetto a quelle industrializzate: nel primo caso si registrano una media di 49 infetti per chilometro quadrato (28 per 10mila abitanti), rispetto ai 134 casi per chilometro quadrato e (37 per 10mila abitanti). Le differenze dei contagi sono quindi più significative se calcolate proporzionalmente al modello di sviluppo rispetto al calcolo con la sola densità demografica.

In particolare le aree più colpite risultano essere la Pianura Padana (dove si registrano il 70% dei casi COVID-19 in Italia), il fronte adriatico dell’Emilia Romagna, la valle dell’Arno tra Firenze e Pisa, le zone intorno a Roma e Napoli. Le aree ad alta intensità sono anche quelle più soggette a inquinamento causato da nitrato, metano ed emissioni di ossido nitroso, che incide sulla qualità ambientale.


Conclusioni

 Le aree rurali a bassa intensità energetica sembrano le più sicure rispetto alla diffusione del virus. Le misure di contrasto dovrebbero quindi essere diverse nei vari territori.

Rispetto al trend registrato negli ultimi decenni, che ha visto un progressivo abbandono delle aree rurali collinari e montane, con una progressiva concentrazione di insediamenti urbani, si dovrebbe pensare di ridurre, se non invertire, tale tendenza. Allo stato attuale quasi il 57% della popolazione si concentra nel 21% del territorio (aree A e B), mentre il 43% vive nel 79% del territorio (aree B e C), questo squilibrio non è sostenibile.

È necessaria una diversa strategia di sviluppo che rivitalizzi le aree interne, sottraendole agli effetti dell’abbandono e alla recessione economica, realizzando infrastrutture e servizi adeguati per migliorare e favorire la qualità della vita. A questo proposito, il Recovery Fund e la nuova politica agricola comunitaria sono l’occasione per valorizzare attraverso progetti mirati aree che hanno una forte dotazione di risorse paesaggistiche, culturali, storiche ed enogastronomiche.

[articolo a cura di Mauro Agnoletti, docente di Assestamento forestale e selvicoltura dell’Università di Firenze; Francesco Piras, borsista di Ricerca della Scuola di Agraria Università di Firenze; Simone Manganelli, direttore della Divisione Ricerca, Banca Centrale Europea]

 

 

 


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