Dallo spazio profondo ai laboratori Unifi. Il viaggio nel Sistema solare dei due frammenti provenienti dall’asteroide Ryugu fa tappa a Firenze, dopo che la sonda giapponese Hayabusa2 ha prelevato circa 5 grammi dalla superficie del corpo celeste. Per i prossimi 12 mesi le analisi saranno condotte – all’interno del laboratorio interdipartimentale MATCHLAB (DICUS-DIEF) e del Centro di Servizi di Microscopia Elettronica e Microanalisi (MEMA) – dal team coordinato da Giovanni Pratesi, docente di Mineralogia Planetaria del Dipartimento di Scienze della Terra (DST), e composto da Stefano Caporali (docente di Scienza e tecnologia dei materiali del Dipartimento di Ingegneria Industriale), Brunetto Cortigiani (DICUS) e Xhonatan Shehaj (DST).
“È la prima volta che in Unifi arriva materiale prelevato da una missione spaziale. Un’opportunità unica per conoscere i segreti del cosmo e siamo orgogliosi di essere stati selezionati dall’agenzia spaziale nipponica Jaxa” commenta Pratesi.
Il gruppo di ricerca italiano che ha vinto la call è composto, oltre che dall’Ateneo fiorentino – unica università coinvolta nel progetto – da scienziati appartenenti alle sedi dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) di Roma, Catania e Napoli, sotto la supervisione di Ernesto Palomba.
La missione Hayabusa2, partita nel 2014, è arrivata in prossimità dell’asteroide nel 2018, a circa 300 milioni di chilometri dal nostro pianeta; l’anno successivo ha effettuato il campionamento e il prelievo, per rientrare sulla Terra nel dicembre 2020 con un carico estremamente ridotto ma dall’importanza “cosmica”.
“Hayabusa2 ha prelevato sia materiale carbonioso, cioè alterato da raggi cosmici e vento solare (space weathering), sia materiale posto al di sotto della superficie e quindi interno e protetto dai processi di alterazione – spiega Pratesi –. Tali radiazioni possono generare sulla superficie di un corpo celeste uno strato, dello spessore di pochi millionesimi di millimetro, significativamente diverso rispetto allo stato originale. Per studiare i cambiamenti chimici prodotti sui grani di Ryugu esposti alla radiazione ci avvarremo dall’applicazione di una speciale tecnica chiamata spettroscopia fotoelettronica di raggi X, resa possibile dalla particolare strumentazione di cui Unifi è dotata”.
“L’interesse principale della nostra ricerca – prosegue – è studiare la differenza tra materiale asteroidale alterato e quello ‘puro’, così da provare a comprendere le cause dell’alterazione che si origina nello spazio e i suoi effetti sui corpi celesti, nonché il modo in cui ne vengono influenzate le osservazioni condotte dalla Terra e dai satelliti”.
“Nonostante le missioni spaziali siano state decine – conclude Pratesi – il materiale riportato finora da asteroidi è legato unicamente alle due missioni compiute dall’agenzia spaziale giapponese: Hayabusa sull’asteroide Itokawa e Hayabusa2 sull’asteroide Ryugu. Da sottolineare inoltre che le meteoriti precipitate sulla Terra, pur rappresentative di varie tipologie di asteroidi, non possono essere utilizzate per questo tipo di studio poiché, durante l’attraversamento dell’atmosfera terrestre, gli strati più superficiali vengono inevitabilmente consumati dall’attrito con l’atmosfera stessa”.