Una mummia di gatto sotto la TAC

Un team interdisciplinare, con la partecipazione della storica della medicina Donatella Lippi, ha avviato uno studio su un reperto conservato a Fiesole, per indagare nel dettaglio i processi di mummificazione grazie a tecnologie di imaging.
Archivio fotografico 123rf.com - Riproduzione riservata
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I gatti, venerati dagli antichi Egizi, venivano mummificati con estrema cura. Per capire meglio come avveniva il procedimento, un team di ricerca interdisciplinare ha avviato un’indagine su una mummia di gatto conservata presso il Museo Etnologico Missionario Francescano di Fiesole, avvalendosi della tomografia assiale computerizzata (TAC), usata normalmente per la diagnostica medica. 

I primi dettagli evidenti rivelano alcune lesioni alle vertebre cervicali ed alle ossa delle zampe. “Interessante sarà capire quali di queste lesioni sono dovute al sacrificio per la dea Bastet e quali al processo di imbalsamazione”, spiega Donatella Lippi, del Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica e componente del team di ricerca di cui fanno parte anche l’Istituto di fisica applicata ‘Nello Carrara’ del Consiglio nazionale delle ricerche, la AUSL Toscana – Fondazione Santa Maria Nuova di Firenze e il Museo Missionario. La TAC ha anche escluso la presenza di oggetti di pregio fra le bende.

La tecnica di indagine utilizzata, a differenza di quanto si faceva in passato, non è distruttiva, non prevede la rimozione dei bendaggi e fornisce informazioni straordinarie. Mentre i raggi X rivelano solamente immagini bidimensionali, le scansioni TAC generano immagini 3D, consentono di esaminare dettagli interessanti e creare modelli da studiare in realtà virtuale, che possono essere stampati in formato tridimensionale.

Esempio di ricostruzione 3D del reperto
Esempio di ricostruzione 3D del reperto

I culti animali hanno avuto grande impatto su molti aspetti della vita egiziana, fornendo un accesso più intimo agli dei e soddisfacendo a un bisogno spirituale e sociale. Alcuni animali erano generosamente curati in vita e mummificati dopo la morte, rimanendo oggetto di venerazione. Altri venivano, invece, intenzionalmente uccisi e imbalsamati, in quanto le loro mummie erano molto richieste come offerte alle divinità durante le festività religiose. I custodi dei gatti nei vari templi dedicati alla dea Bastet usavano rimuovere i piccoli prematuramente per avere più cucciolate in breve tempo e rendere questi animali disponibili per la mummificazione e rispondere alla richiesta dei fedeli.

Lo studio appena avviato mira ad acquisire ulteriori dettagli, come ad esempio la razza, l’età, il sesso dell’animale, la presenza di materiali di riempimento, grazie all’integrazione di metodologie diverse. La mummia di gatto in questione è uno dei reperti archeologici della collezione appartenente al Convento Missionario dei Frati Francescani.  Nel 1923 da Luxor, infatti, vennero inviati al Convento una serie di oggetti risalenti alla XVIII Dinastia (sec. XVI-XIII a.C.), molti dei quali provenienti dalla necropoli di Tebe e in particolare dal sito di Deir el Bahri; alcuni sono un dono del famoso egittologo torinese Ernesto Schiaparelli (1856-1928), frutto dei suoi scavi a Gebelein e Assuan, nell’Alto Egitto, e testimoniano il suo legame coi frati Francescani, che proprio in Egitto avevano le loro missioni.

La ricerca è stata possibile grazie a un ampio team multidisciplinare, composto oltre che dalla storica della medicina Donatella Lippi, dai radiologi Roberto Carpi e Chiara Zini e dal tecnico di radiologia Nicolò Bechini (AUSL Toscana Centro), dal fisico Andrea Barucci (Istituto di Fisica applicata “Nello Carrara”- CNR Firenze)Hanno fornito il loro supporto la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Firenze e per le Province di Pistoia e Prato, la Fondazione Santa Maria Nuova e il Convento San Francesco di Fiesole. Partecipano anche il curatore del Museo Missionario Valter Fattorini e Guido Landi, laureando in Tecniche di Radiologia.

(Fonte: CNR)


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