Modellato per la prima volta il genoma di un batterio per trasformarlo in un super fertilizzante naturale, in grado di combinare più funzioni. La tecnica di trapianto genetico è stata messa a punto dal gruppo di ricerca del Dipartimento di Biologia coordinato da Alessio Mengoni e da Marco Fondi, ed è stata descritta in un articolo pubblicato su ACS Synthetic Biology, la rivista dell’ American Chemical Society (“Creation and characterization of a genomically hybrid strain in the nitrogen-fixing symbiotic bacterium Sinorhizobium meliloti”).
“Secondo le stime del FAO con il rapido aumento della popolazione mondiale l’attuale produzione in campo agricolo non sarà sufficiente per poter sfamare adeguatamente i quasi 10 miliardi di abitanti previsti per il 2050 – racconta Mengoni, associato di Genetica -. Sarà quindi necessario aumentare la produttività agraria ma al contempo ridurre la dipendenza da risorse energetiche non rinnovabili, e quindi il costo economico e ambientale della produzione agricola”.
I ricercatori sono partiti dallo studio di un batterio simbionte delle leguminose, Sinorhizobium meliloti, in grado di trasformare l’azoto atmosferico in forme di azoto assimilabili da parte della pianta. “I fertilizzanti azotati usati attualmente in agricoltura sono in gran parte prodotti per sintesi chimica, usando processi che richiedono un grande consumo di energia – commenta il ricercatore -. Esistono però molti microorganismi, come Sinorhizobium meliloti, che possono produrre naturalmente le stesse molecole, attraverso il loro metabolismo”.
Sinorhizobium meliloti è una specie di batterio particolarmente interessante per la struttura del suo genoma, detta “multipartito”, la quale consente una manipolazione precisa e la possibilità di creare un ibrido, trapiantando una porzione corrispondente a oltre il 20% del genoma da un ceppo batterico donatore.
“Il trapianto genetico – spiega il ricercatore – – apre la possibilità di combinare in un solo ceppo caratteristiche importanti ma presenti in ceppi differenti, per migliorare la produzione agraria delle leguminose, il loro apporto di azoto nel terreno ma anche la crescita e la resistenza a condizioni ambientali estreme e contribuire così alla sostenibilità ambientale dell’agricoltura”.
Lo studio, svolto grazie al finanziamento per progetti strategici di Ateneo, è stato condotto con Alice Checcucci, George diCenzo e Camilla Fagorzi, del laboratorio di Genetica microbica del Dipartimento di Biologia, Tiziano Vignoli del LENS e Veronica Ghini del Consorzio interuniversitario risonanze magnetiche di metallo proteine del Centro di Risonanze Magnetiche CERM. Vi hanno collaborato il Dipartimento di Chimica “Ugo Schiff”, il laboratorio Genexpress del Dipartimento di Scienze delle produzioni agroalimentari e dell’ambiente, e istituti di ricerca stranieri come la McMaster University (Canada) e il LOEWE Center for Synthetic Microbiology (Germania).