Una prospettiva nuova per combattere il dolore oncologico arriva da uno studio di ricercatori del Dipartimento di Scienze della Salute – pubblicato su “Cancer Research”, rivista dell’American Association for Cancer Research – che hanno indagato, in collaborazione con l’Università di New York (USA) e l’Università Federale di Santa Maria (Brasile), i meccanismi responsabili del dolore da cancro (“Peripheral Nerve Resident Macrophages and Schwann Cells Mediate Cancer-induced Pain” DOI: 10.1158/0008-5472.CAN-20-3326).
Gli studiosi dell’Ateneo – guidati da Romina Nassini, Francesco De Logu e Pierangelo Geppetti – hanno scoperto un ruolo moltiplicatore del dolore oncologico nel TRPA1, un recettore delle cellule di Schwann, usualmente considerate solo un rivestimento protettivo delle fibre nervose periferiche.
Il tumore, infatti, invia dei segnali specifici alle cellule di Schwann: esse rilasciano una citochina (M-CSF), un mediatore chimico che aumenta fortemente il numero di cellule infiammatorie (macrofagi) nel nervo. Tali cellule, a loro volta, generano stress ossidativo che attiva un recettore, il TRPA1 appunto, che amplifica la neuroinfiammazione e trasmette il segnale di dolore al cervello.
“In particolare – spiega Romina Nassini – le ricerche si sono sviluppate su modelli animali in cui la cellula di Schwann non era più funzionante, in cui, cioè, il recettore TRPA1 era stato disattivato. In essi lo sviluppo del tumore non riusciva più a provocare l’aumento dei macrofagi nel nervo e la crescita del dolore si bloccava completamente”.
“I risultati di questo studio – commenta Francesco De Logu – indicano una nuova strada per creare farmaci specifici per il dolore oncologico, più efficaci e più sicuri di quelli attuali che si basano sostanzialmente su comuni analgesici e oppiacei. Si tratta di un obiettivo importante per rispondere ad un’esigenza purtroppo molto diffusa – conclude De Logu -, tenendo conto che un dolore molto spesso severo è presente nel 40% dei malati oncologici e che nelle fasi più avanzate della malattia esso può colpire fino al 90% dei pazienti”.
Lo studio è stato condotto con fondi derivanti da un Grant dell’European Research Council (ERC-2019), nell’ambito del programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell’Unione europea (titolare Pierangelo Geppetti) e con finanziamenti dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro e Fondazione CR Firenze (Investigator Grant 2016 e 2020) (titolare Romina Nassini).